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Isolati e senza linea. In politica estera non contiamo nulla

Il premier Giuseppe Conte

Comunque vadano le elezioni, andrà cambiata la politica estera

Luigi Bisignani
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Caro direttore, comunque vadano le elezioni, andrà cambiata la politica estera del nostro governo che ha isolato l'Italia. Da sempre strategici nel Mediterraneo, ponte privilegiato con Usa, paesi arabi ed Israele, in un anno di esecutivo giallo-verde tutto è evaporato. Le proposte portate avanti da Matteo Salvini sulla crescita, assieme ai problemi posti sull'immigrazione, hanno trovato nel premier e nel ministro degli Esteri due interlocutori non all'altezza. I due avrebbero dovuto coinvolgere i nostri tradizionali partner, come sempre fatto dai loro predecessori. Per Conte invece solo photo opportunity e biglietti da visita, per Moavero neppure quello, asserragliato com'è nel bunker della Farnesina. Si possono giustificare le ingenuità di Conte, ma è incomprensibile l'inconsistenza di Moavero che pure era stato voluto dal segretario generale Elisabetta Belloni, la quale se ne è pentita quasi subito e ora, pur di liberarsene, lo spinge verso la Commissione Europea, anche se il candidato più accreditato resta il sottosegretario Giancarlo Giorgetti in fuga dal manicomio di Palazzo Chigi.  L'imminenza del viaggio di Matteo Salvini a Washington, a lungo rinviato, rappresenta l'esame di laurea per il Capitano. Salvini è un animale domestico, ma il suo pragmatismo è apprezzato a Washington, dove si diffida degli ideologi e dove si conoscono anche i recenti ondeggiamenti di Roma verso Cina, Venezuela e Iran, visti con irritazione negli ambienti americani. Affidarsi ad Armando Varricchio, nostro ambasciatore a Washington, potrebbe essere un problema di per sé. Varricchio, infatti, punta tutto sui rapporti con il Dipartimento di Stato e con il National Security Council, ma è persona non gradita alla Casa Bianca. Un bel grattacapo per Salvini, che già deve farsi perdonare l'attivismo pro-Cina del «leghista palermitano» Michele Geraci e i lunghi anni da console a Shanghai del proprio consigliere diplomatico Stefano Beltrame, per sorvolare sui suoi collaboratori più stretti - Savoini, D'Amico, Gaiani - che sono tutti antiamericani. Al nodo dei rapporti con Washington rischia poi di aggiungersi quello delle relazioni con Israele. Netanyahu scruta guardingo i continui viaggi di politici e top manager di partecipate di Stato italiane a Doha, convinto che il Qatar sostenga l'Islam rivoluzionario. Se poi si considera che Qatar e Iran sono in ottimi rapporti con la Cina, ce n'è abbastanza da saldare Trump e Netanyahu contro Roma. E se un governo italiano non dialoga con Usa e Israele è fuori dai giochi internazionali. Come Giorgetti ha fatto notare, Conte tende sempre dalla parte dei grillini, così alla Casa Bianca c'è preoccupazione per le prese di posizione italiane sempre a favore dei “nemici” degli Usa. Anche a costo di rimetterci in termini di sanzioni economiche, Salvini dovrà convincere l'establishment statunitense che lui non è troppo vicino a Putin, così come Di Maio alla Cina. Mission quasi impossible.  A Parigi, Berlino e Londra l'Italia di Conte pesa poco o nulla, come il Presidente della Repubblica Mattarella sa bene, dal momento che è chiamato ogni volta a metterci una pezza. In passato la nostra politica estera era riconosciuta e apprezzata su due punti fermi: i rapporti privilegiati con la Santa Sede e una forma di autorità sulla Libia. Col Vaticano di Bergoglio e soprattutto con la Libia ora siamo agli stracci. È ora che qualcuno con un po' di esperienza internazionale se ne occupi davvero.

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