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Codice Rosa al Sant'Andrea, seicento vittime di violenza assistite in cinque anni

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Il Codice Rosa all’Ospedale Sant’Andrea di Roma esiste grazie a lei, la dott.ssa Marzietta Montesano che, mutuando e studiando l’esperienza della creatrice di questo sistema di assistenza, Vittoria Doretti (oggi responsabile della rete regionale in Toscana) nel 2018 lo ha fatto nascere e crescere anche all’interno dell’ospedale romano. Il suo motto è “l’amore non fa così”. Negli ultimi 5 anni il Sant'Andrea ha assistito oltre 600 vittime di violenza (di cui il 10% sono minori) attraverso un Percorso dedicato senza differenza di genere e di sesso.

In poche parole, come si attiva il Codice Rosa?

"In realtà basta dichiarare di essere un Codice Rosa. Nei casi in cui non viene denunciato, bisogna saper riconoscere quei segni e sintomi nascosti e far in modo che vengano palesati dalla vittima in piena libertà. Alla vittima dedichiamo un accesso privilegiato, una stanza dove il “fragile” viene ascoltato, dove viene effettuata la repertazione quando richiesta, grazie all’aiuto di professionisti sia dal punto di vista fisico che psicologico.  Per le vittime attiviamo un iter speciale, con l’aiuto delle Forze dell’Ordine, dei Centri antiviolenza e di chiunque possa essere in grado di tutelarle. Vede, fino a qualche anno fa le donne non denunciavano, restavano in silenzio. Oggi il Codice Rosa è la loro voce. Devono sapere che in qualsiasi Pronto Soccorso c’è qualcuno che ascolta".

Ma quali sono stati gli strumenti da lei usati per costruire il Percorso al Sant’Andrea?

"La resilienza. Un esempio di modello esemplare, riconosco di aver avuto la capacità di appassionare e coinvolgere, all’epoca un pugno di professionisti,  oggi siamo in tanti, una vera squadra, un team multidisciplinare altamente qualificato composto da infermieri, un medico emergenzista, un medico legale, da psicologi, un pediatra, un ginecologo, uno psichiatra, da assistenti sociali, un bed manager, dal referente Codice Rosa, da personale sanitario, sociosanitario e amministrativo altamente formato e anche da un avvocato, dedicato al supporto degli operatori. La vera forza del Codice Rosa. Insieme mettiamo a disposizione un servizio sempre pronto ad intervenire nella gestione e nell’assistenza del paziente fragile. Doniamo alla vittima dal primo momento in cui entra in Pronto Soccorso o in un’altra unità operativa e/o servizio dell’ospedale, una mano sicura, una mente lucida competente senza alcun pregiudizio, un sorriso, un abbraccio fino a quando non fa rientro a casa o in un luogo protetto. Un ospedale al fianco di chi ha bisogno che abbatte i muri della solitudine".

Come si entra a far parte del team?

"Al Sant’Andrea abbiamo investito sulla formazione di professionisti in grado di fornire strumenti utili e necessari all'assistenza delle vittime. Oggi si svolge l’ultimo degli appuntamenti di un corso di aggiornamento specifico, che per inciso è alla sua sesta edizione, “Dare voce al silenzio: formare per assistere”, che spiega qual è il protocollo clinico assistenziale da seguire a tutela delle vittime di abuso e violenza, adulti e minori. Ma non ci rivolgiamo solo al personale medico e sociosanitario e agli studenti, il Sant’Andrea dialoga da anni con la società civile, le istituzioni a tutti i livelli, Forze dell’Ordine, con la Magistratura, con il Terzo settore, gli enti statali e altre realtà sanitarie. Siamo tutti chiamati a educare al rispetto, alla consapevolezza delle varie forme di violenza e individuare gli strumenti giusti per contenerla, eliminarla e disattivarla. Abbiamo tutti, nessuno escluso, il dovere di scuotere le coscienze ed emanciparle. Dobbiamo fare rete, senza preconcetti e senza esitazioni. Questo è un ambito sul quale bisogna unirsi, allearsi e mai divedersi, Codice Rosa è patrimonio culturale, oltre che professionale, un movimento di pensiero che coinvolge e sensibilizza tutte le coscienze, pronte ad essere contaminate per il raggiungimento di un bene comune, alla costruzione di una società sana che sa riconoscere e dire a gran voce che l’amore non fa così. Fonte dalla quale attingere per giungere all’umanizzazione delle cure".

Anche perché il fenomeno della violenza di genere è in aumento e spesso le vittime sono anche i minori.

"Purtroppo, si. Negli ultimi cinque anni abbiamo assistito 55 minori, con un’età media di poco più di 11 anni e quasi tutti provenienti dall’Italia. Nella maggior parte dei casi, la violenza avviene tra le mura domestiche e quasi sempre l’orco è un genitore. Il fenomeno della violenza ‘assistita’ e domestica è sempre più diffuso. Il bambino è spesso spettatore delle violenze subite dalla madre e, in molti casi, vittima diretta quando tenta di proteggerla. A questo si aggiungono altri tipi di violenza, come il cyberbullismo per esempio o altre forme poco considerate come incuria, discuria ed ipercuria, dove solo personale attento sa riconoscere e sa come intervenire, campanello d’allarme che segnala una spirale di disagio complesso da attenzionare con il fine di far emergere il sommerso".

Qual è l’impatto di un abuso su una donna o minore vittima di violenza?

"Facciamo una distinzione. L’OMS ha definito qualche tempo fa la violenza contro le donne un problema di salute di dimensioni enormi, interesse e problema di sanità pubblica. Le donne vittime di violenza subiscono conseguenze sulla propria salute fisica (esiste uno studio che correla problemi cardiaci alle donne abusate) e mentali (depressione, alcolismo, dipendenze in genere). Anche per i minori le conseguenze sono gravi, perché impattano sullo sviluppo fisico e cognitivo del bambino, con il rischio di sindromi ansiose e depressive, disturbi da stress post-traumatico e dipendenza da sostanze".

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