
Carlo Federico Perno: "Non abbassare la guardia sull'Hiv"

Una malattia cronica che, come tale, va diagnosticata per tempo, curata e tenuta sotto controllo. L’Hiv ha cambiato volto negli ultimi decenni e oggi la grande maggioranza dei sieropositivi può condurre una vita simile a chi non ha contratto il virus. A patto di seguire le indicazioni dei medici, come spiega a Il Tempo Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e professore di microbiologia all’UniCamillus.
Professor Perno, come vivono oggi le persone con Hiv?
«Grazie all’avvento delle nuove terapie, come la triplice terapia ad assunzione giornaliera, è possibile controllare l’evoluzione della malattia in più del 95% dei pazienti. Riusciamo a controllare ma non a sconfiggere: il virus, una volta entrato nell’organismo, infatti, non può essere eliminato. Pertanto, la terapia deve essere seguita per tutta la vita, come succede nelle malattie croniche, per esempio il diabete. L’aggravante è che nel momento in cui si interrompe la terapia, l’efficacia dei farmaci svanisce e il virus riprende spazio all’interno del nostro organismo e può creare problemi anche irreversibili. In conclusione, le persone stanno bene se applicano la terapia in modo corretto e con regolarità, sapendo che questo virus non siamo riusciti ad eliminarlo».
La storia dello sviluppo delle terapie contro Hiv è una storia di successo. Come sono cambiati i farmaci?
«Negli anni Ottanta dello scorso secolo sono stati sviluppati trattamenti con uno o due farmaci che non erano in grado di controllare l’evoluzione virale. Oggi abbiamo terapie moderne molto diverse da quelle del tempo passato; quelle a tre farmaci sono estremamente efficaci e molto poco tossiche, e pertanto rappresentano un'opzione primaria per i nostri pazienti, avendo dimostrato un’ottima capacità di tenere il virus sotto controllo. Ma per garantire alle persone con Hiv una qualità di vita il più simile possibile a quella di una persona non infettata è necessario che le terapie vengano eseguite al meglio nel lungo termine e che la diagnosi venga effettuata precocemente».
Cosa comporta arrivare alla diagnosi con ritardo?
«Una minore capacità dei farmaci di combattere l’infezione. Purtroppo, metà delle nuove diagnosi è tardiva e le persone arrivano a scoprire l’infezione quando il virus ha già prodotto molti danni all’organismo. Nonostante l’efficacia delle terapie, in questi casi non sempre riusciamo a recuperare la situazione. Serve una maggiore attenzione sociale perché, come detto, se curate per tempo, queste persone possono avere una aspettativa di vita simile a quella della popolazione non sieropositiva».
All’aumento dell’aspettativa di vita corrisponde un aumento della qualità della vita?
«È proprio questa la sfida. Il nostro obiettivo è di ottenere un’aspettativa di vita più simile possibile a quella delle persone non infette. Tuttavia, sappiamo che, nonostante tutte le terapie, anche le migliori, l’infezione da Hiv è correlata a una maggiore incidenza di tumori e patologie cardiovascolari. Questo vuol dire che non dobbiamo mai abbassare la guardia».
Cosa auspica per il futuro?
«Rispetto al passato, oggi abbiamo a disposizione delle terapie molto efficaci e se riuscissimo a mantenere questa efficacia nel tenere sotto controllo il virus anche nei prossimi 40-50 anni sarebbe un successo straordinario. Tuttavia, il vero obiettivo è quello di sviluppare un vaccino contro l’Hiv o una terapia in grado di eradicare il virus. Si tratta di traguardi ancora lontani ma non impossibili da realizzare».
Dai blog

Cuore Lazio contro il Napoli


Pokerissimo Lazio al Monza


Prova di forza della Lazio
