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di Carmine Mastroianni A Vittorio Emanuele II toccò l'onore di fregiarsi del titolo di «Primo Re d'Italia», ma accanto a lui non ci fu una «prima regina» poiché la consorte, Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena, era morta 5 anni prima dell'unificazione.

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Margheritafu donna elegante, dama dal bel portamento, e - a giudizio dell'imperatrice Sissi - «amabile e simpatica, sebbene non dotata di grande beltà». I gusti son gusti, ma la sovrana seppe compensare egregiamente quel suo «deficit» di bellezza mostrandosi - una volta ascesa al seggio regale - «una seria professionista del trono, tanto che gli Italiani compresero che, se anche non avessero avuto un gran re, avrebbero avuto una grande regina». E nell'asserire ciò Montanelli non si sbagliava. Buona parte del suo fascino Margherita lo dovette alla non comune preparazione culturale e all'impegno profuso in opere di meritorio mecenatismo: protesse innumerevoli artisti, introdusse la musica da camera in Italia, riunì settimanalmente al Quirinale i migliori intellettuali italiani ed europei, da Ruggiero Bonghi a Theodor Mommsen, da Giuseppe Martucci a Ferdinand Gregorovius. Quella vocazione le era venuta in adolescenza nel Castello ducale di Agliè, attorniata da tutori imbacuccati e isolata dalle distrazioni della corte torinese. Un regale isolamento causato in verità dalla madre, Elisabetta di Sassonia, allontanata dal cognato Vittorio Emanuele per aver sposato - in seconde nozze... - il «borghese» Nicola Rapallo. Margherita possedeva l'indiscussa dote di sedurre con la levità della sua dialettica, riuscendo ad attirare a sé anche i più accaniti oppositori della monarchia piemontese. Nel 1878 persino il burbero repubblicano Giosuè Carducci finiva per dedicarle un'ode «barbara» intitolata «Alla regina d'Italia»; tanto aveva potuto su di lui il fascino di un così «Eterno femminino regale»! I giornali ne approfittarono per tessere uno scandalo memorabile di fronte al quale la sciarada sanremese di Celentano può essere archiviata come un'inezia. Il mazziniano Arcangelo Ghisleri, dopo essersi chiesto se il cantore dell'Inno a Satana (Carducci) si fosse fatto frate, scriveva sarcastico: «In fila col Carducci, che c'insegna la Salve Regina, mettiamoci in processione tutti quanti dietro la carrozza reale». Il poeta si difese con vigore da queste accuse ricostruendo l'incontro con Margherita, definendola ammiratrice delle sue Odi barbare, apparsagli in una cupa giornata novembrina «spiccante mite in bianco, bionda e gemmata». E la sovrana non lo avrebbe dimenticato tanto che nel gennaio del 1906 acquistava per 60 mila lire l'appartamento di Carducci per donarlo alla città di Bologna insieme alla biblioteca del poeta già comprata nel 1902. Fu l'estremo omaggio della regina al «primo» premio Nobel della Letteratura italiana, in ricordo di quell'ode barbara che l'aveva resa celebre: «(...)Fulgida e bionda ne l'adamàntina/luce del serto tu passi, e il popolo/superbo di te si compiace/qual di figlia che vada a l'altare;/con un sorriso misto di lacrime/la verginetta ti guarda, e trepida/le braccia porgendo ti dice/come a suora maggior "Margherita!"». Dietro un così irrefrenabile fascino si nascondevano tuttavia amarezze note soltanto ad una ristretta cerchia di cortigiani. Il re Umberto era l'unico italiano a non essere innamorato di Margherita e, per non venir meno alla tradizione di famiglia, si incapricciava ogn'ora per una vogliosa dama di corte, sfacciatamente. Margherita si limitò a ignorarlo, a prendersi le sue rivincite, a dare lustro e prestigio alla monarchia e un erede al trono, seppur basso e gracilino; infine festeggiò le nozze d'argento - nell'aprile del 1893 - con 101 colpi di cannone! In più di vent'anni aveva prestato il suo nome ad una pizza ed a un panforte, ad un rifugio sul Monte Rosa ed a un lago in Etiopia, ad una città pugliese e persino a un settimanale femminile. La sua aura tramontava a Monza il 29 luglio del 1900 quando l'anarchico Gaetano Bresci uccideva Umberto I. La corona passava ad Elena di Montenegro e a lei spettava il semplice ruolo di regina madre. Pian piano si allontanò dalla scena politica isolandosi nella sua villa a Bordighera e da qui continuò ad osservare i profondi cambiamenti del nuovo secolo. Questi mutamenti però la disorientarono al punto da spingerla a sostenere il nascente movimento fascista e benedire i quadrumviri De Bono e De Vecchi recatisi da lei prima della fatidica Marcia su Roma. Era il suo ultimo sussulto regale mentre, «curva e piccina, con gli occhi ingranditi dalle spesse lenti tonde» cercava di difendere dalla falce comunista e dalla scure fascista la corona del figlio Vittorio Emanuele III. Di lei restano infiniti ricordi e tanti cimeli, ma sopra ogni cosa i libri che tanto amò e lesse durante la sua vita. Buona parte di essi sono custoditi nella Biblioteca Piffetti del Quirinale, un tempo inclusa nell'appartamento della regina e arredata con la preziosa libreria di Pietro Piffetti, uno dei maggiori ebanisti del Settecento. Dal 23 febbraio al 17 marzo, parte di questo patrimonio librario, e non solo, saranno oggetto dell'esposizione «Margherita di Savoia e la Biblioteca del Quirinale» curata da Lucrezia Ruggi d'Aragona. L'analisi di questo fondo librario ha fornito preziosi elementi per comprendere meglio la personalità della regina Margherita.

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