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L'Europa ora cambi musica e alzi il volume della libertà tolta dall'Islam: va ripensata la strategia militare

Andrea Amata
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L'Europa dal dopoguerra ha sempre considerato gli Stati Uniti l'architrave dell'Alleanza Atlantica e l'assicurazione attraverso la quale versava lealtà ottenendo in cambio soccorso in caso di eventi avversi. In sostanza, il rischio sulla stabilità geopolitica si trasferiva sulla maggiore potenza mondiale il cui potenziale intervento dissuadeva le minacce a materializzarsi. Sull'America, con il ritiro dall'Afghanistan e l'ingresso degli «studenti coranici» a Kabul, si è stagliata l'ignominia del tradimento, avendo abbandonato il popolo afghano alla repressione dei talebani e precipitando il Paese in una situazione caotica. Oltretutto, le modalità della smobilitazione sono state effettuate senza programmare l'evacuazione in sicurezza delle migliaia di persone che cooperavano con le forze occidentali, su cui incombe la brutale ritorsione dei fondamentalisti. Con l'accordo di Doha tra la fazione afghana dei talebani e gli Stati Uniti, pattuito da Trump ed eseguito da Biden, si è creato un vuoto strategico occupabile da potenze estranee ed ostili agli interessi europei.

 

 

Il tema su cui l'Ue deve investire è l'autonomia strategica, prendendo atto che l'ombrello americano è stato ripiegato e imbucato nell'involucro dell'interesse nazionale e provando, perciò, ad emanciparsi dalla dipendenza militare dello Zio Sam. Gli Stati Uniti stanno da tempo riorientando la loro priorità strategica verso il Pacifico e tale ricalibratura appare irreversibile, obbligando l’Europa a ripensare la politica di sicurezza in un quadro di prospettiva che tenga conto anche dei cambiamenti demografici ed economici. L’esercito comune sarebbe complementare e non alternativo alla Nato con gli Stati membri disponibili a delegare le prerogative sovrane della difesa ad un’entità europea così come è stato fatto sin dalla fondazione del Patto Atlantico. Se in ambito di sicurezza interna vige una gestione congiunta nello spazio Schengen, se nel campo giuridico è riconosciuto il primato della Corte di Lussemburgo e se financo la sfera monetaria è stata affidata alla competenza esclusiva della Banca centrale europea sarebbe insensato escludere dall’escalation comunitaria il settore che ne ha più bisogno: quello militare.

 

 

Con il premier Mario Draghi alla presidenza del G20 si può gettare il seme di un'idea di sovranità che includa la difesa dei cittadini attraverso l’istituzione dell'esercito comune, conferendo all'Europa una proiezione influente nei teatri di crisi globale per evitare che sia percepita come il ricettacolo degli effetti collaterali dei fenomeni globali (emergenza rifugiati). La creazione di un esercito comune non significa aderire ad una vocazione di esportazione della democrazia, semmai è lo strumento per scongiurare l’espianto dei caratteri democratici agendo da argine all'epidemia dispotica. Dall'accordo di Doha sono state uccise 220 donne dai talebani, che si confermano depositari di una cultura ripugnante e sanguinaria a cui non si può riconoscere alcuna legittimazione. L’attacco kamikaze all'esterno dell'aeroporto di Kabul, che ha provocato diversi morti e feriti nell'esplosione, è un segnale di ostilità finalizzato ad intralciare il ponte aereo nel tentativo di impedire la messa in sicurezza di parte della popolazione. Si potrebbe dire che con il ritiro delle truppe occidentali la musica è cambiata. Anzi, per il portavoce dei talebani: «La musica è proibita nell'Islam». L’Europa non abbassi il volume della libertà.

 

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