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Europa e vaccini, ora serve un cambio di passo

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Angelo De Mattia
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Il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, intervenendo al tradizionale meeting del Delopment Committee della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale ha, tra l'altro, sostenuto che per la tutela della salute con una prospettiva di lungo termine occorrerà agire sul coordinamento internazionale, sulla condivisione dei piani pandemici, sul monitoraggio e la collaborazione delle malattie, muovendo dalla concezione della salute come bene pubblico globale.

Il problema, però, è come passare dall'enunciazione di obiettivi ineludibili alla concreta realizzazione di iniziative per conseguirli. E qui viene in ballo innanzitutto l'Unione europea. Essa, tuttavia, finora non sta dando una prova esaltante in questo campo, a partire dall'approvvigionamento dei vaccini, dalla contrattazione con le case farmaceutiche, dalla stessa reazione a quelle che si presentano come inottemperanze negoziali. Condividere i piani pandemici non sarà facile per chi presenta in questa materia ritardi ed errori in casa propria che ovviamente non fanno passare in secondo piano quelli commessi dai singoli partner comunitari.

La stessa ratifica del Next Generation Eu da parte degli Stati aderenti va a rilento, essendo stata sottoscritta fin qui solo da 17 Paesi (Italia compresa), per cui ne mancano all'appello ancora 10. Il «sofiagate», aldilà della grave umiliazione tentata dall'autocrate Erdogan nei confronti della presidente Ursula von der Leyen, ha messo a nudo l'inadeguato assetto istituzionale dell'Unione rappresentata, oltreché dall'Europarlamento, da due organi, l'uno, la Commissione, che dovrebbe incarnare lo spirito europeo, l'altro, il Consiglio, che rappresenta i singoli Stati: coesiste, insomma, l'aspetto comunitario con quello intergovernativo.

E allora, a prescindere da come sia stato gestito nella vicenda turca, anche il cerimoniale, che assegna ancora la precedenza a chi rappresenta il Consiglio mentre la prassi pone entrambi gli organi su di un piano di parità, diventa la spia di una ben diversa disfunzione, innanzitutto politica e poi del disegno istituzionale. Ma una riforma, che presupporrebbe una decisa volontà politica di cui per ora non si vedono le tracce, dovrebbe essere globale, non riguardare questo o quello spezzone dell'architettura e, nel contempo, valorizzare il principio di sussidiarietà verticale.

Intanto, si resta in mezzo al guado e si raccolgono prevalentemente impatti non favorevoli, come la visione arretrata e rigoristica degli aiuti di Stato - lo si sta rilevando nel caso Alitalia - o alcune scelte - si pensi alle moratorie dei prestiti e alla configurazione dei casi di default - dell'Autorità bancaria, l'Eba, e della Vigilanza unica, mirate più al tuziorismo burocratico che a una equilibrata azione che tenga conto degli effetti della pandemia.

Il Governo di Mario Draghi ha assunto la linea secondo la quale, nel campo della salute, vanno sostenuti i rapporti con l'Unione, ma fino al punto in cui contribuiscano a risolvere i problemi, diversamente si agirà a livello nazionale. Anziché osservare vacuamente che questa posizione scalda il cuore dei sovranisti, bisognerebbe domandarsi se si tratta di una linea che va anche oltre la vicenda pandemica perché, se così fosse, bisognerebbe proporsi apertamente di rivedere l'intera impalcatura europea. Ma de, dovrebbe avvenire, in un caso o nell'altro, mostrando la solidità di una meditata linea politica, non con spunti millimetrici ed estemporanei, come sta accadendo per diversi argomenti affrontati dal premier.

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