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Cosa succede se fallisce Credit Suisse? È ancora allarme banche

Andrea Giacobino
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Ancora grande paura per le banche sui mercati internazionali ieri nel giorno delle «tre streghe», quando cioè scadono contemporaneamente i future sugli indici, le opzioni sugli indici e le opzioni sulle azioni. Il tutto mentre per il segretario generale dell’Ocse Mathias Cormann «il fallimento di Svb (Silicon Valley Bank, ndr) è stato significativo essendo anche il più grande dalla crisi finanziaria del 2007-8, ma da allora i quadri regolatori sono molto migliorati e sebbene vi sia certamente un aumento dei rischi perla stabilità finanziaria, pensiamo che i rischi di un contagio siano alquanto contenuti».

Ieri comunque l’americano Svb Financial Group, proprietario proprio di Svb chiusa la settimana scorsa, ha fatto richiesta di bancarotta assistita, il cosiddetto «Chapter 11» segnando così il poco invidiabile record di essere stato il maggiore istituto finanziario statunitense a fare richiesta di questa procedura dopo quello di Washington Mutual, avvenuto nel 2008. Silicon Valley Bank, il business primario di Svb Financial Group, è stata chiusa dalle autorità federali, che ne hanno preso il controllo per garantire i clienti, e non fa parte della richiesta di Chapter 11, che offre alle società un processo per trovare nuovi proprietari ai loro asset. Svb Financial Group ritiene di disporre di circa 2,2 miliardi di dollari di liquidità.

Oltre alla liquidità e alle sue partecipazioni detiene altri conti titoli di investimento e altri asset per le quali sta anche esplorando alternative strategiche. Sempre negli Stati Uniti ieri la First Republic Bank ha visto il titolo perdere in apertura in borsa fino al 20% dopo aver annunciato di aver sospeso i dividendi il giorno dopo che 11 banche americane avevano iniettato 30 miliardi di dollari per salvare l’istituto dalla bancarotta. Registi dell’operazione sono stati il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell e il ceo di JP Morgan Chase, Jamie Dimon, che hanno discusso i termini dell’accordo. I regolatori statunitensi hanno affermato che la dimostrazione di sostegno ha mostrato la resilienza del sistema bancario.

Dagli Stati Uniti alla Svizzera ieri è stata una giornata molto difficile anche per il Credit Suisse, che pure l’altroieri ha ricevuto un prestito di 50 miliardi di franchi dalla banca centrale rossocrociata. Il titolo dell’istituto, infatti, è precipitato perdendo fino all’8% e il contratto di copertura è tornato sopra i mille punti dopo che si sono diffuse voci che Ubs, l’altra grande banca svizzera, sia poco disponibile per intervenire quale «cavaliere bianco» nonostante un suo intervento sia dato come quasi inevitabile.

Lo scenario alternativo è quello di uno spezzatino di Credit Suisse, cedendo a vari operatori, compresi i grandi fondi di private equity, i business più redditizi. Nel frattempo molti investitori stanno ritirando i loro depositi dalla banca e ciò ne diminuisce ulteriormente il valore. Arginare la fuoriuscita di clienti sarà fondamentale per raddrizzare il business, anche alla luce dei deflussi netti per 110,5 miliardi di franchi registrati nel quarto trimestre. Ma dagli Usa, tra l'altro, è rimbalzata la notizia secondo cui il Credit Suisse è stato citato in giudizio da azionisti statunitensi con una class action. L'accusa rivolta dai soci alla banca svizzera è di avere nascosto le difficoltà, sia in materia di deflussi, sia delle debolezze nei controlli interni sulla rendicontazione finanziaria. 

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