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Negozi, la fine delle piccole imprese: in dieci anni chiuse 100mila attività

Gianluca Zapponini
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Una strage, a volte silenziosa, a volte no. Prima la crisi finanziaria, poi la pandemia, infine l’inflazione, hanno inghiottito decine di migliaia di piccole imprese. Attività spesso e volentieri di una vita, passate di mano generazione dopo generazione e ora, finite nel cassetto dei ricordi di imprenditori, lavoratori, commessi. Tra il 2012 e il 2022 sono sparite, complessivamente, oltre 99 mila attività di commercio al dettaglio e 16 mila imprese di commercio ambulante. Sono i dati impietosi di Confcommercio, la più grande associazione italiana delle piccole imprese, che ha aggiornato gli annali della demografia d’azienda italiana. Nelle 120 città medio-grandi dello Stivale, la riduzione di attività commerciali risulta più accentuate nei centri storici rispetto al resto del comune, con il Sud caratterizzato da una maggiore vivacità commerciale rispetto al Centro-Nord. E per chi non ha abbassato la saracinesca, c’è stato sicuramente un ambio di pelle, dettato anche dall’esplosione e dal ricorso sistematico all’e-commerce da parte dei consumatori.

 

 

Secondo Confcommercio, infatti, è cambiato anche il tessuto commerciale all'interno dei centri storici con sempre meno negozi di beni tradizionali (libri e giocattoli -31,5%, mobili e ferramenta -30,5%, abbigliamento -21,8%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,6%, computer e telefonia +10,8%), attività di alloggio (+43,3%) e ristorazione (+4%). «La modifica e la riduzione dei livelli di servizio offerto dai negozi in sede fissa confina con il rischio di desertificazione commerciale delle nostre città dove, negli ultimi 10 anni, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti, con un calo di quasi il 20%)», spiega l’associazione guidata da Carlo Sangalli. Per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, per il commercio di prossimità non c'è altra strada che puntare su efficienza e produttività anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell'offerta. E rimane fondamentale l'omnicanalità, cioè l'utilizzo anche del canale online che ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, con le vendite passate da 16,6 miliardi nel 2015 a 48,1 miliardi nel 2022. Elemento, questo, che ha contribuito maggiormente alla desertificazione commerciale ma che rimane comunque un'opportunità per il commercio fisico tradizionale.

 

 

Nello stesso giorno in cui viene riscritta la mappa del commercio, la stessa associazione lancia un allarme, che risponde al nome di superbonus. Sì, perché «il decreto sui crediti fiscali varato dal governo avrà un forte impatto sul settore e può causare una crisi di liquidità sistemica che mette a rischio le prospettive delle imprese e i livelli occupazionali», ha detto il presidente di Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani, nel corso di un'audizione alla commissione Finanze della Camera sul provvedimento. «Sarebbe stato molto meglio se il decreto fosse stato preceduto da una fase di controllo con la filiera, con la creazione di una sede permanente e strutturata di confronto col governo per la gestione dell'emergenza crediti».

 

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