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Istat, stipendi in calo: in 13 anni giù del 10%. E ora c'è anche l'inflazione

Nella zona Euro, dopo sei mesi col segno meno, a novembre torna in terreno positivo

Gianluca Zapponini
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Non c'era ancora la grande inflazione, ma evidentemente prima la crisi finanziaria post Lehman Brothers, poi quella del debito sovrano sono bastate a polverizzare interi decimali di reddito. Sì, perché a leggere le ultime statistiche dell'Istat in materia di lavoro, emerge come la retribuzione netta a disposizione dei lavoratori italiani abbia scontato un calo del 10% tra il 2007 e il 2020, con i provvedimenti per il Covid che hanno almeno consentito di frenare il crollo nell'anno della pandemia. Tutta, o quasi, colpa di un cuneo fiscale, ovvero l'incidenza delle imposte e contributi sul costo del lavoro, in discesa sì, ma ancora superiore al 45%.

Insomma, le buste paga degli italiani sono tutt' altro che grasse. E pensare che ce ne sarebbe un gran bisogno, alla luce di un'inflazione acquisita per il 2022 pari all'8,1%. Tornando alle cifre diffuse da Via Cesare Balbo, nel medesimo periodo 2007-2020, i contributi sociali dei datori di lavoro sono diminuiti del 4%, anche per l'introduzione di misure di decontribuzioni mentre i contributi dei lavoratori sono rimasti sostanzialmente invariati e le imposte sul lavoro dipendente sono aumentate in media del 2%. Non è tutto. Nel 2020, anno dell'esplosione della grande pandemia, circa il 76% dei redditi lordi individuali (al netto dei contributi sociali) non ha superato i 30 mila euro annui: la metà dei redditi lordi individuali si colloca tra 10mila e 30mila euro annui, oltre un quarto è sotto i 10mila euro e soltanto il 3,7% supera i 70mila euro. Ci sono troppe tasse sul lavoro, si dirà. E le cose stanno davvero così, anche se a voler leggere i dati dell'Istituto di statistica in controluce, qualche spiraglio si intravede.

Per il 2020, per esempio, l'Istat stima che la riduzione del cuneo fiscale (bonus Irpef e trattamento integrativo) abbia interessato 12,7 milioni di persone, per una spesa complessiva di 10,8 miliardi di euro di trasferimenti, paria 850 euro pro capite. Il beneficio fiscale è andato maggiormente a vantaggio dei salariati appartenenti ai quinti di reddito familiare equivalente medio-alti: il 17,3% è andato a vantaggio dell'ultimo quinto (il più benestante), il 26,4% a beneficio del quarto quinto (cioè il gruppo appena al di sotto di quello più abbiente), il 24,1% al terzo quinto (corpo centrale della distribuzione), il 20,3% al secondo e l'11,9% al primo quinto (ovvero il più povero).

E meno male che l'esecutivo guidato da Mario Draghi aveva già tagliato il cuneo fiscale del 2% per i redditi fino a 35mila euro, comportando conseguentemente degli aumenti a fine mese. Giorgia Meloni ha poi dato una ulteriore sforbiciata, individuando due soglie di reddito lordo, 20mila euro e 35mila euro, su cui applicare un taglio aggiuntivo dell'1%. E adesso grazie a un emendamento alla manovra la soglia limite dei 20 mila euro cambia e sale a 25mila euro.

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