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Mps, aumento di capitale riuscito: ora può ripartire

Andrea Giacobino
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Il difficile per il Monte dei Paschi di Siena comincia adesso. Dai prossimi giorni, infatti, la banca di Rocca Salimbeni che negli ultimi 14 anni ha chiesto al mercato risorse per 25 miliardi di euro puntualmente bruciate dalle perdite, dovrà dimostrare sotto la guida dell'amministratore delegato Luigi Lovaglio di essere capace del rilancio necessario a far uscire lo Stato dal capitale mediante l'ingresso di un «cavaliere bianco» il cui identikit oggi è però sconosciuto.

Ieri mattina, infatti, l'istituto ha annunciato di aver chiuso con successo l'ennesimo aumento di capitale, questa volta di 2,5 miliardi: «L'operazione di aumento di capitale - si legge nella nota Mps - si è completata con l'integrale sottoscrizione delle nuove azioni». Questo perché l'altro ieri a conclusione dell'esercizio dei diritti la quota raggiunta era del 96,3% e il residuo 3,7% dell'aumento, come nelle attese, è stato sottoscritto dalle molte banche del consorzio di garanzia, peraltro lautamente retribuite con una maxi commissione di 125 milioni. Il nuovo capitale sociale della banca, prosegue la nota, «risulta quindi pari a 7.453.450.788,44 euro, suddiviso in 1.259.689.706 azioni ordinarie prive di indicazione del valore nominale».

I 2,5 miliardi andranno a finanziare gli oltre 4mila esodi incentivati, ma poi Lovaglio dovrà mettersi pancia a terra, aiutato dal nuovo cda che sarà eletto nella prossima primavera, per migliorare le performance della banca, che godranno peraltro della spinta dell'aumento dei tassi d'interesse. Con meno costi del personale e più ricavi il Monte potrebbe forse nel 2023 vedere la privatizzazione e consentire allo stato, azionista di controllo col 64,2%, di passare la mano. Ieri comunque in borsa il titolo è crollato del 12% circa chiudendo a 1,62 euro. La cosa era prevedibile tenuto conto che il plateau di investitori che ha sottoscritto le minoranze dell'aumento è molto eterogeneo. Inoltre considerando che Mps non può distribuire dividendi né procedere a un buyback finché il governo avrà una partecipazione nella banca, l'ipotesi - e il timore del mercato è che la maggior parte degli investitori possa voler vendere le proprie azioni, soprattutto se si tratta delle banche che hanno costituito il consorzio o di fondazioni bancario e fondi. Va comunque sottolineato che il successo dell'aumento - operazione complicata dal fatto che nel durante il titolo Mps s' è mantenuto sotto i 2 euro del prezzo di sottoscrizione dei nuovi titoli perciò non appetibili - porta la firma di Alessandro Rivera, direttore generale del Mef, e dello stesso Lovaglio. Il primo, infatti, nella sua qualità di azionista di controllo, ha esercitato la «moral suasion» sui nuovi soci, a cominciare dalle principali fondazioni bancarie del paese (prime fra tutte Cariplo, Crt e Compagnia di San Paolo) per finire con alcune importanti casse previdenziali (da Inarcassa e Enpam).

Lovaglio ha convinto gli altri investitori: i due partner commerciali Axa e Anima, Nexi, alcuni fondi internazionali (Pimco anzitutto), finanzieri come Davide Serra di Algebris e Andrea Pignataro di Ion, imprenditori come Denis Dumont e altri fra i quali Mediolanum. Primo socio resta il Mef con la sua quota (per cui ha versato 1,6 miliardi) seguito da Axa con l'8% e dalle fondazioni col 3% circa, Pimco con un'analoga quota, Algebris e Ion col 2% ciascuno.

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