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Perché la Bce alza i tassi, così l'Unione Europea rischia di strozzarci

Filippo Caleri
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Se continua così siamo rovinati. Sì, l'inflazione è ancora troppo alta nell'area euro. E la Banca centrale europea per riportarla al tetto obiettivo ha iniziato una serie ravvicinata di rialzi dei tassi di interesse che hanno portato rapidamente il costo del finanziamento dallo zero al 2%. E non sembra finita. Forte è l'ostinazione di far rientrare il carovita che ieri, in un'intervista al quotidiano lettone Delfi, il presidente della Eurotower, Christine Lagarde, non ha lasciato scampo a chi ha pensato che la serie di rialzi fosse quanto meno rallentata. «L'inflazione è ancora troppo elevata nell'area euro nel suo insieme, e soprattutto in Lettonia - ha osservato Lagarde - dove si è attestata al 21,8% in ottobre, ben al di sopra della media dell'area euro al 10,7%».

Il principale motore dell'aumento dell'inflazione - ha spiegato Lagarde - è ancora «l'aumento dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari. La scorsa settimana abbiamo deciso di aumentare i nostri tassi di interesse per la terza volta consecutiva. Prevediamo di aumentare ulteriormente i tassi di interesse per assicurarci che l'inflazione torni tempestivamente al nostro obiettivo di medio termine del 2%».

Una condotta rigorosa che contrasta però con qualche principio base dell'economia politica insegnata sui banchi dell'università. Già, l'inflazione che si vuole contrastare è generata dai costi dell'energia, e dunque da fattori esogeni in particolare dalla crisi russo ucraina, dunque difficilmente controllabili dalla politica monetaria. Che è, in genere, arma infallibile quando l'aumento dei prezzi è generato dalla domanda impetuosa da parte dei consumatori. Solo in quel caso il rialzo dei tassi rende più costosi i finanziamenti, scoraggia i consumatori dagli acquisti raffreddando i consumi e, contestualmente, riduce gli investimenti pianificati diminuendo la pressione delle imprese sul mercato degli approvvigionamenti. Meno efficace pare, sempre secondo la teoria economica, aumentare il costo del denaro per frenare il carovita indotto dalla crescita dei prezzi dell'energia. Questa già generà autonomamente una contrazione dei consumi, che è l'anticamera della recessione, e se a questo effetto si aggiunge una stretta monetaria simile a quella avviata da Francoforte dall'inizio dell'estate, allora la presunta medicina diventa il veleno che uccide definitivamente il paziente, e cioè l'economia. Ed è quello che sta accadendo nella realtà con, però, un effetto di rilascio lento del veleno. Solo per guardare all'Italia infatti a salvare l'economia per ora è l'effetto della tenuta dei servizi, turismo in primis, che hanno contenuto i primi cali evidenti del settore agricolo e di quello primario. Ma se l'effetto tossico come detto è rallentato i primi sintomi negativi sono evidenti. Il primo è quello del rialzo dei prezzi dei mutui. Gli interessi sui fidi avevano già superato il 4% con il costo del denaro all'1,25% e, con il nuovo rialzo al 2% appena deciso dalla Banca centrale europea, è possibile immaginare che venga sforata la soglia del 5%. E se l'effetto è neutro su vecchi prestiti a tasso fisso, soprattutto quelli accesi nell'epoca del denaro acquistato a zero, diverso è il caso dei fidi a saggio variabile.

I primi effetti sono stati realizzati nelle rate di ottobre, le prime con incorporati i rialzi. Per gli importi classici e cioè tagli tra i 100 e i 150mila euro arrivati a metà vita, i rincari hanno già aggiunto importi tra i 50 e i 100 euro (calcolo a spanne ovviamente) agli importi pagati prima dell'estate. Soldi sottratti alle tasche delle famiglie già alle prese con inflazione a due cifre, stipendi legati a contratti non rinnovati, ed extracosti per energia e cibo. Con il pericolo, paventato anche dalla Fabi (si legga l'articolo a fianco) di una crescita spropositata delle rate tale da trasformare i mutui in essere in subprime, cioè quelli insolventi che scatenarono la crisi finanziaria nel 2007 negli Usa. Una serie di considerazioni che la Eurotower non ha messo in agenda, troppo impegnata a rincorrere la Federal Reserve statunitense, che ha inanellato una serie di rincari del costo del denaro in larga parte legati alle esigenze elettorali dell'amministrazione Biden alle prese con le consultazioni di midterm. Un rischio quello di accodarsi alle decisioni statunitensi che il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, lo scorso 30 settembre aveva segnalato, mettendo in guardia dai «rischi di scatenare la recessione se la Bce farà l'errore di seguire ciecamente la Federal Reserve e procedere a rialzi dei tassi eccessivamente rapidi e pronunciati».

Consiglio ribadito lunedì alla giornata del risparmio organizzata dall'Acri quando ha detto che «l'elevata incertezza del quadro economico mondiale richiede di procedere in modo graduale sul rialzo dei tassi ufficiali della Bce che dovrà proseguire per attenuare il rischio del persistere di un'elevata inflazione». Dunque rialzi sì ma con giudizio. Idea che, a giudicare dalle parole di Lagarde, non sembra quella ufficiale della Bce che sta mettendo un cappio al collo ai consumatori europei. Incurante per ora dei primi segnali di rientro dei costi energetici, legati all'evoluzione climatica e alla proposta del price cap sul gas, più che all'ennesimo rincaro del denaro.

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