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Sul Mes Conte e Gualtieri mentono? Il prof. Giulio Sapelli: perché ci rovina

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Pietro De Leo
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Il Mes senza condizionalità? Non esiste. A dirlo è Giulio Sapelli, economista, storico, saggista prolifico. E lo ha fatto in un esaustivo video sulla pagina Facebook della Edizioni Cantagalli, nell'ambito dell'iniziativa #laletturasalverailmondo, uno spazio in cui studiosi ed intellettuali affrontano con dei brevi contributi gli aspetti più complessi del presente. La domanda posta al professor Sapelli è il nodo intrecciato sul confronto politico di questi giorni: il Mes. Conviene o meno attivare quello, presentato senza condizionalità, destinato alle spese sanitarie? La risposta dell'economista è no, ma è interessante seguire la spiegazione sugli aspetti più complicati dello strumento e soprattutto dove potrebbe essere nascosta l'insidia. Inizia, Sapelli, con una staffilata al premier Conte: «Se io malauguratamente fossi presidente del Consiglio, innanzitutto conoscerei il Mes». In sostanza, spiega Sapelli, se andasse a trattare un tema senza padroneggiare la materia «mi sentirei veramente fuori posto, usurpando la fiducia degli italiani. Tanto più – sottolinea - se fossi questo presidente del consiglio, non eletto, mi sentirei in dovere di essere ancora più responsabile, perché dovrei fare gli interessi di un popolo che non mi ha neanche scelto». Qui, poi, la radiografia del contenuto: «Il Mes è, in primo luogo, un trattato internazionale, che ben caratterizza ciò che governa l'Unione Europea, anzi, l'Unione Economica Europea, perché l'Unione Europea non esiste». Infatti, prosegue lo studioso, non è una realtà «confederale» né «federale» e soprattutto «non esiste una Costituzione Europea. Nel 2005, l'Olanda in un referendum l'ha rifiutata, lo stesso ha fatto perfino la Francia». Dunque, tornando al Mes, «è un trattato tra Stati che però, e questa è l'originalità, ha un regolamento il quale fa sì che funzioni con la governance, con i metodi di funzionamento tipici delle banche d'affari». E poi approfondisce quelle che si qualificano come vere e proprie anomalie della struttura: «Quanti fanno parte del consiglio direttivo del Mes, ossia i ministri dell'Economia e i funzionari, hanno immunità giuridica. Questo lo confessò anche l'ex Ministro Tria, il quale riconobbe, in un'intervista al Sole 24, di non aver potuto fare sul Mes neanche una relazione al Parlamento perché il regolamento non lo avrebbe consentito». E poi, ecco illustrato l'ingranaggio: «Il Mes è un trattato molto chiaro. Per essere creato, tutti gli Stati devono versare una quota in proporzione al loro Pil. E poi potranno ricevere finanziamenti solo nel caso in cui rispettino la condizione scritta nel Trattato di Maastricht». Quale sarebbe, questa condizione? Se uno Stato vuole attivare il Mes e ricevere dei finanziamenti, il suo debito deve essere al 60% del Pil, osserva Sapelli. Altrimenti, se non rispetta questo parametro, «viene sottoposto alla ristrutturazione del debito», in sostanza «quello che hanno fatto alla Grecia». Cosa cui noi, con il nostro debito marciante verso il 155% del Pil come preventivato dal Fmi, andremmo incontro. Perciò «il Mes senza condizioni non esiste». E aggiunge: «Anche nelle minute che abbiamo letto relative all'accordo di questo Mes senza condizioni, c'è scritto chiaramente, in inglese, che i soldi per la sanità verrebbero dati rispettando le regole nel trattato. Dunque il Mes senza condizioni non può esistere. Ti potranno dare dei soldi dei soldi per la sanità, ma dato che te li daranno e tu sei una nazione che ha più del 60%, sarai costretto alla ristrutturazione del debito pubblico». Dunque, al governo «o non sanno, ed è molto grave, o mentono. Preferirei sapere che non sappiano, perché se sanno e mentono sarebbe ancora più grave». In conclusione, è perentorio: «Niente Mes tantomeno la patrimoniale proposta da Delrio e co.». Quale sarebbe, allora, l'unico modo per far fronte a questa situazione? Secondo Sapelli è la proposta dall'ex ministro Giulio Tremonti, ripresa poi da Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo: «Un prestito nazionale irredimibile, volontario, non tassato, da cui si potrebbero ricavare tremila miliardi circa, e ci risolverebbe ogni problema». Abbiamo due precedenti, illustra Sapelli, «uno nel '45, indetto dal ministro Soleri nel primo governo Parri che si chiamava Prestito della Resistenza. Un altro nel '48, lanciato dal governo De Gasperi, che fu molto importante. Palmiro Togliatti, che era un uomo molto intelligente, anche se era stato cacciato dal governo un anno prima, si rivolse agli operai invitandoli a finanziare questo prestito con il loro reddito, perché difendendo la Repubblica nata dalla Resistenza e le aziende in cui lavoravano, avrebbero difeso anche il loro salario». E poi, Sapelli, lancia un attacco durissimo, rivolto all'attuale governo, a cui del Paese «non importa nulla. Vuol dire che sono tutti agenti esterni. Magari com'è noto legati alla Francia, o alla Germania, o all'Iran. È un discorso che va molto al di là dell'economia». Per questo, conclude l'economista, «è necessario condurre una battaglia culturale, ma è molto difficile farla».

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