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Salva-Stati? No, salta-banche: il Mes è una bomba sulle nostre teste

Il premier Giuseppe Conte

Il Mes che Bruxelles vuole imporci nasconde un rischio mortale per gli istituti bancari

Franco Bechis
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Ci sono otto paginette terribili allegate a quelle che il premier Giuseppe Conte ha chiamato «il pacchetto» del Mes, che comprende anche la revisione del fondo di risoluzione delle banche e il progetto di bilancio comune dell'Eurozona. Quelle paginette sono una vera e propria bomba sul sistema del credito italiano, e non solo su quello. Le ha scritte Olaf Scholz, vice cancelliere e ministro delle Finanze tedesco, e sono la vera ragione delle preoccupazioni mostrate in una intervista dal presidente dei banchieri italiani, Antonio Patuelli. Perché la richiesta tedesca è quella di valutare con profili di rischio gli investimenti degli istituti di credito nei titoli di Stato. Per approfondire leggi anche: SI' IL MES E' UNA FREGATURA Lo spiego con semplicità: oggi quei titoli sono parte del patrimonio delle banche. Con la richiesta tedesca dovrebbero invece essere considerate dei crediti, parzialmente coperti nei loro bilanci a fondo rischi. Questo significherebbe dovere riscrivere tutti i bilanci delle banche in Europa. E scoprire istituto dopo istituto che i coefficienti patrimoniali non sarebbero in molti casi più soddisfatti, e dovrebbero essere riequilibrati da corposi aumenti di capitale. Il 19 novembre scorso il direttore del dipartimento studi economici della Ieseg school of management, Eric Dior, ha pubblicato una simulazione sull'effetto che avrebbe oggi sui bilanci delle banche europee la richiesta tedesca. Nella tabella ci sono anche dieci banche italiane, che sarebbero costrette a lanciare aumenti di capitale per un totale di 16,3 miliardi di euro. Ipotesi praticamente impossibile in questi momenti di mercato, e che porterebbe con facilità l'Italia a dovere chiedere accesso ai fondi del Mes che garantiscono anche quello salva-banche. Probabilmente la stessa necessità avrebbero altri paesi, ma il dramma sarebbe un po' minore per la Germania. Basta snocciolare le cifre: ad Unicredit, che proprio in queste ore ha divulgato un piano di contenimento dei costi che comporta un terremoto sul personale, toccherebbe fare un aumento di capitale da 4 miliardi di euro e 156 milioni di euro. Per Intesa San Paolo il danno sarebbe minore, ma non proprio senza significato: aumento di capitale da 2 miliardi e 697 milioni di euro. Per le due più grandi banche tedesche le conseguenze sarebbero di ben altra natura. A Deutsche Bank sarebbe sufficiente un aumento di capitale da 357 milioni di euro. A Commerzbank basterebbero 460 milioni di euro. Ma i danni più rilevanti sarebbero sopportati dalle banche medio piccole. In Italia ad Iccrea servirebbe per adeguarsi un aumento di capitale da 1,2 miliardi di euro. Al Monte dei Paschi di Siena appena uscito da una cura lacrime e sangue servirebbe un ulteriore aumento di capitale da 3, 2 miliardi di euro. Altri 2 miliardi sarebbero necessari per la Popolare di Milano, e più di un miliardo di aumento di capitale sarebbe necessario anche per la popolare di Sondrio e per la popolare dell'Emilia Romagna. Insomma, una mazzata. Che alla fine si abbatterebbe anche su alcune piccole banche tedesche, come su quelle francesi e su quelle spagnole. Ma per l'Italia potrebbe rivelarsi una arma letale. Perché per salvare i propri istituti di credito che non troverebbero in gran parte la liquidità necessaria a patrimonializzare i propri bilanci, sarebbe necessario andare con il cappello in mano al Mes, che secondo il meccanismo che Giuseppe Conte difende, risponderebbe: “sì, ma il vostro debito non è sostenibile. Quindi sblocchiamo i fondi che vi servono solo se ci presentate un serio piano di ristrutturazione del debito pubblico coinvolgendo anche i risparmiatori privati”. Ecco con esempi concreti come questo vi stiamo facendo capire di cosa si discute in queste ore in Partlamento, e come la “logica di pacchetto” invocata dal premier Conte rischia di trasformarsi in un vero “pacco” per l'Italia e gli italiani. Ragione in più per esercitare il diritto di veto di grande paese fondatore dell'Unione europea fino a quando non si rivede l'intera architettura di quelle norme. E se il braccio di ferro dovesse fare alzare lo spread, il danno per l'Italia sarebbe minore rispetto a quello che potrebbe travolgere il sistema finanziario del paese.

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