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Uno scenario da incubo sull'economia mondiale

Il capo della Bce Mario Draghi

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Le considerazioni che seguono mi sono state suggerite dalla lettura di un articolo del mio amico Gerald O' Driscoll sul Wall Street Journal (3 novembre). Le riprendo senza imbarazzo perché si tratta di considerazioni evidenti, che sono sotto i nastri occhi da tempo e che non abbiamo ancora metabolizzato. Il tema di O' Driscoll è semplice e sconvolgente: la crisi finanziaria dell'Europa riguarda anche gli Stati Uniti e non solo indirettamente.   Il meccanismo è noto: lo Stato fa promesse «sociali» ai suoi cittadini - pensioni generose erogate in età lavorativa, assistenza sanitaria gratuita per tutti, inamovibilità dell'impiego - che a un certo punto scopre di non potere mantenere per mancanza di soldi. Avendo già spremuto tutto il possibile dal settore privato e non potendo aumentare ancora il prelievo fiscale senza stroncare l'economia, ricorre all'indebitamento; quando i privati non assorbono più le cambiali dello Stato, questi si rivolge alle banche, promettendo in cambio che ne garantirà la solvibilità. È uno schema truffaldino che nemmeno Bernie Maddoff avrebbe potuto concepire: le banche comprano titoli di Stato in cambio della promessa di salvataggio in caso di difficoltà. Tuttavia, un «salvatore» smette di essere tale quando resta senza soldi e comincia l'incubo: lo Stato non può salvare le banche e queste non possono permettersi di lasciarlo fallire pena il loro stesso fallimento. È la storia della Grecia, secondo O' Driscoll non nuova a esperienze del genere già occorse nel XIX e XX secolo, ma è la stessa storia in Francia, dove lo sviluppo si è arrestato e le banche sono in possesso di una grande quantità di titoli pubblici greci. Un fallimento della Grecia si ripercuoterebbe inevitabilmente anche sulle banche di Francia e Germania. Da qui l'altruismo franco-tedesco pronto a sacrificarsi per «salvare» la Grecia! Non basta. Banche e istituzioni finanziarie americane sono esposte in molti modi diversi nei confronti delle banche europee: le difficoltà di queste quindi non resterebbero senza conseguenze sull'economia e la finanza americane. Inoltre, e notevolmente più importante, la Fed (banca centrale degli USA) ha fornito alla Banca Centrale Europea grandi quantità di dollari in cambio di euro o attività denominate nella moneta comune europea. La Bce promette di restituire alla Fed i dollari con interesse ma la promessa non è per nulla garantita: la Bce può stampare euro, non dollari, né si capisce perché abbia preso a prestito dalla Fed quando il mondo è sommerso da un'enorme quantità di dollari. La spiegazione suggerita da O' Driscoll è che le banche europee abbiano gravi problemi di liquidità. Se la Bce non onora i suoi impegni con la Fed, il costo delle perdite della banca centrale americana sarà sopportato dai contribuenti americani, non certo da quelli europei. Il problema vero è che nell'Unione Europea non ci sono i fondi per onorare le promesse «sociali» fatte dai governi nazionali. È questa la ragione per cui si parla di introdurre una nuova imposta sulle transazioni finanziarie europee. La Grecia, prima o poi, fallirà ma non sarà che la prima di una serie di nazioni dell'UE. A quel punto l'unica scappatoia possibile sarà una generalizzata monetizzazione dei debiti sovrani per opera della Bce, come già sostenuto su queste colonne. L'espansione monetaria produrrà inizialmente effetti benefici, stimolando la crescita, ma a lungo andare non potrà non tradursi in inflazione. Come l'alcol, l'espansione monetaria è piacevole all'inizio, poi arriva il mal di testa. Gli americani hanno poco da compiacersi per i guai dell'Europa sia perché sono anche loro (basti pensare al Fondo Monetario Internazionale, impegnato ad «aiutare» Paesi europei, che prima o poi chiederà fondi ai Paesi membri, specie agli USA) sia perché, grazie alle follie di Obama, si avviano ad avere esattamente lo stesso tipo di problemi dell'Europa: «Se volete sapere come la crisi del debito americano si svilupperà, sostiene O' Driscoll, guardate l'Europa. Dobbiamo attenderci quindi una crisi su entrambe le sponde dell'Atlantico, destinata a divenire mondiale? Forse no, ma certamente le turbolenze sui mercati finanziari sono destinate a durare perché gli operatori, non sapendo che pesci pigliare, continueranno a muovere ingenti quantità d'investimenti da un tipo di attività a un altro, con conseguente volatilità dei prezzi. Di fronte a questo scenario le blaterazioni della politica italiana appaiono in tutta la loro misera provincialità: «La nave affonda, ma a noi non importa, tanto non è nostra»!

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