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Fiat dà l'addio all'Anfia, troppi vincoli

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Marchionne: non ci sono motivi politici, né vuol dire che lasciamo l'Italia

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Unascelta consequenziale all'addio a Confindustria e che rientra nella strategia, sottolineata anche ieri dall'amministratore delegato del Gruppo, Sergio Marchionne, di «liberarsi da vincoli che in un'economia di mercato sono freni allo sviluppo e per mettere in pratica quanto è stato promesso». Una decisione, quindi, ha spiegato il manager intervenendo all'Assemblea dell'Anfia, che «non ha nulla a che vedere con ragioni politiche». Ma la fuoriuscita del Lingotto apre una serie di interrogativi sul futuro dell'Associazione. Tant'è che il presidente, Eugenio Razelli (numero uno anche della Magneti Marelli), si è dimesso. Il gruppo Fiat, infatti, in tutte le sue componenti, rappresenta circa il 63% delle quote associative di Anfia, che riunisce oltre ai produttori di autoveicoli, anche le aziende di componentistica, di pneumatici, di camper e rimorchi ed i carrozzieri presenti in Italia. Inoltre, con la fuoriuscita delle aziende orbitanti nel gruppo torinese, sul fronte delle dimensioni dal prossimo anno rimarranno nell'Anfia solo aziende medie o medio-piccole. Con poche eccezioni di cui la più importante è rappresentata da Pirelli, a cui nel 2012 passerà quindi lo scettro di maggiore azienda italiana aderente ad Anfia. I tempi sono cambiati e il «vecchio modello di business non può più funzionare, serve una completa trasformazione». Per Fiat la fusione con Chrysler era unn passaggio obbligato giacchè «era troppo piccola e troppo penalizzata dal modello di business europeo per avere qualche prospettiva di successo». Ma nemmeno la casa di Detroit «ce l'avrebbe fatta da sola nel lungo termine». Poi rassicura sui risultati. «Siamo sulla strada giusta per raggiungere tutti gli obiettivi fissati e Chrysler sta dando un contributo fondamentale a questi risultati». In settimana i cda di Fiat e Chrysler esamineranno i risultati del terzo trimestre dell'anno e secondo le stime medie di un consensus di una ventina di analisti, nel terzo trimestre Fiat dovrebbe segnare un utile netto intorno a 170 milioni di euro e un utile della gestione ordinaria a 705 milioni. Considerando questa cifra in dettaglio, 120 milioni spettano a Fiat Auto, 440 milioni a Chrysler e 85 milioni a Ferrari-Maserati. L'indebitamento netto industriale è atteso a 4,1 miliardi (da 489 milioni a fine marzo). Il deciso incremento è legato all'esborso per l'acquisizione delle partecipazioni in Chrysler dal governo americano e da quello canadese, realizzate rispettivamente nel giugno e nel luglio scorso. Per l'intero 2011 è previsto un utile netto di 710 milioni, un utile della gestione ordinaria di 2,18 miliardi e un indebitamento netto industriale a oltre 5 miliardi. Per il 2012 atteso un utile netto a 1,09 miliardi e un risultato della gestione ordinaria pari a 3,07 miliardi. Marchionne ha quindi ribadito che non c'è alcun «disimpegno della Fiat dall'Italia. È una azienda italiana le cui radici vanno custodite». Così come «Chrysler è una azienda americana e questa sua natura deve essere protetta. Ogni tentativo di imporre una cultura sull'altra non farebbe che soffocare l'elemento creativo di entrambe». Poi rivolto a quanti, Cgil in testa, non credono al piano industriale di investimenti, replica che «il piano che stiamo realizzando, stabilimento per stabilimento ci permetterà di arrivare a una piena saturazione di tutti gli impianti italiani entro il 2014». Secondo l'ad uno degli obiettivo del Lingotto «è quello di rafforzare la nostra rete industriale nel Paese per raggiungere il break-even complessivo delle nostre attività in Europa entro il 2014». Ma la Cgil continua a non fidarsi di queste rassicurazioni che l'ad ha ripetuto anche all'incontro di ieri con il ministro Romani. «Di disdetta in disdetta continuano i pretesti per non impegnarsi nel Paese» arringa il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere.

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