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I lanzichenecchi della Borsa

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La giornata di ieri è un'altra pietra miliare sul percorso della finanza iper-espansa e del declino anglo-americano. La caduta dei listini globali è un monumento all'irrazionalità su cui purtroppo non c'è possibilità di agire. Altro che Italia e discorso di Berlusconi. Vorrei vedere la faccia di chi ancora scrive queste bischerate. Marziani. Di provincia. Quando il mercato entra nella "fase panico", qualsiasi valutazione sui numeri e lo stato di salute dei conti pubblici e privati lascia il posto al motto "vendi tutto quello che oggi crolla e compra tutto quello che domani rimbalza". Basta leggere Shiller sull'euforia irrazionale. O Akerlof sugli animal spirits del mercato. La speculazione obbedisce molto più alla psicologia che all'economia. Detto questo, al netto dell'autodifesa di alcune serie vecchie dame della finanza globale, siamo di fronte a un caos organizzato da un manipolo di operatori che sulla picchiata dei listini sta costruendo il suo tesoretto. Un formidabile giornalista americano, Kevin Kelly, ha scritto un libro intitolato «Bad money» dove si spiega come «l'Anglosfera" della finanza sia l'epicentro del terremoto finanziario, il caveau dei titoli tossici che hanno infettato il resto del mondo. Questo universo di capitali volanti sta giocando sul debito sovrano dell'Europa, ma in realtà è il vero malato che cerca di succhiare il sangue agli altri per tenersi in vita. È un problemone che parla inglese e non cinese. In Asia, a eccezione di Singapore, la finanza s'è tenuta lontana dagli asset infettati e infettanti, dai castelli di carta con valore nominale e nessun valore reale sottostante. Tutta questa paccottiglia è finita a sua volta nella pancia di veicoli istituzionali pubblici, le banche centrali hanno cominciato a divorare questo cibo avariato in nome del too big to fail, il teorema del è troppo grande per fallire. Che errore. In realtà quel che emerge con forza è che bisogna tornare alla buona tradizione capitalista che prevede il fallimento di chi produce perdite e non paga i conti. Vale per le banche. E anche per gli Stati. Se prendiamo solo in considerazione la Federal Reserve, dal 1982 ad oggi la banca centrale americana ha divorato di tutto: dal 1982 al 1992 ha varato un pacchetto di aiuti per Brasile, Messico e Argentina volto a impedire un effetto domino sulle banche Usa; nel 1998 Alan Greenspan pompò i soldi americani per evitare il peggio nel crac di Ltcm, un hedge fund a stelle e strisce che mise nei guai anche l'Italia; qualche anno prima il Tesoro americano aveva sostenuto il peso messicano per evitare il peggio agli investitori. Improvvisamente questa catena di salvataggi e aiuti si interrompe con George W. Bush. Il presidente americano decide di far fallire Lehman Brothers, firma storica della finanza mondiale. Il mercato crolla. Ondata di vendite. Panico. Da quel momento nessuno ha il coraggio di abbandonare ai propri destini i giganti che hanno drogato il mercato. Nessuno fallisce. Tutti vincono, anche quando meriterebbero di perdere, chiudere e onorare i debiti con i creditori. E siccome nessuno può fallire, ecco che il gioco si fa sempre più ardito: scommettere sul crac delle nazioni, ben sapendo che non accadrà, ma guadagnando sul saliscendi all'iperuranio dei corsi azionari e dei bond. Scorribande di lanzichenecchi della finanza. Bandidos. I governi ora pagano. Tutti. E in realtà sono non solo vittime, ma anche colpevoli. La condotta suicida della Banca Centrale Europea sta portando al fallimento del mito dell'euro. L'ortodossia monetaria della Germania prevede di salvare la Grecia ma il prezzo da pagare è il tramonto dell'Europa. Una pazzia. Non hanno imparato la lezione del crac del 2008. Dovevano usare il ddt contro le locuste. Non l'hanno fatto. E ora stanno perdendo il raccolto.  

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