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Il tiro al bersaglio contro l'ad della Fiat Marchionne si allarga

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Asparargli contro ormai ci si mettono anche i vescovi che sono scesi in campo a fianco della Fiom sul caso dei tre operai licenziati allo stabilimento di Melfi. Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, agganciandosi alle parole del presidente della Repubblica Napolitano, ha accusato la Fiat di commettere «un errore etico e negare i diritti della persona». Non si vede perchè - ha detto l'arcivescovo - la Fiat non debba osservare la decisone del tribunale. Bene quindi «l'intervento nobilissimo» di Napolitano che ha richiamato l'azienda al dialogo. Ieri i tre operai licenziati si sono ripresentati ai cancelli della fabbrica ma senza entrare annunciando che saranno presenti anche nei prossimi giorni. Nel frattempo i legali della Fiom-Cgil hanno depositato al Tribunale di Melfi l'istanza per chiedere che il giudice «definisca le modalità di attuazione del decreto di reintegro emanato dal giudice del lavoro del 9 agosto scorso». In merito a questa azione della Fiom i legali della Fiat hanno precisato che «non è possibile per il magistrato che ha pronunciato il decreto intervenire nuovamente su un provvedimento già emesso, modificandone il contenuto o determinando le modalità di attuazione. Si tratterebbe di un atto compiuto al di fuori di qualsiasi regola processuale». L'azienda ha poi ufficializzato un periodo di cassa integrazione ordinaria alla Sata di Melfi, dal 22 settembre al 1° ottobre, «per adeguare i flussi produttivi alle domanda di mercato». E si allarga il divario nelle posizioni tra i sindacati. La Cisl ha chiesto alla Cgil di non «strumentalizzare» le parole del presidente Napolitano mentre la Fismic, il sindacato da sempre considerato su posizioni aziendaliste, ha detto che le parole del Capo dello Stato, rappresentano «una grave ingerenza nel merito dell'operato dei magistrati» e «la sollecitudine e la prontezza dell'intervento di Napolitano è sicuramente degna di miglior causa». Duro anche il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: se il presidente della Repubblica è l'unica persona che riesce a dare fiducia ai lavoratori, questo segnala il fallimento del sindacato e delle relazioni industriali». Il sindacalista poi invita la Fiom «a fare un esame di coscienza sulle sue strategie e sui livelli di tutela che riesce a garantire. Qualcuno immagina di aver vinto chissà quale battaglia, così non è, se poi i lavoratori finiscono per rivolgersi al capo dello Stato». In attesa delle reazioni dell'amministrazione delegato della Fiat Marchionne, che rientrato dagli Stati Uniti oggi sarà a Rimini al Meeting di Cl, è intervenuto il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. «Quello che ha fatto Fiat è in linea con la legge e con la prassi» ha detto e poi sottolinea quello che è il vero nodo politico, ovvero «l'esigenza di cambiare radicalmente le relazioni industriali». Confindustria, insieme a Fiat, «intende seguire questa strada e portare i termini dell'accordo di Pomigliano nel contratto nazionale». «Non è possibile - insiste Marcegaglia - che un gruppo di persone decida di sabotare gli obiettivi dati». Ma ad alzare la tensione ci pensa anche il segretario del Pd Pier Luigi Bersani: «Non ci saranno nuove relazioni industriali prima di avere meccanismi nuovi di rappresentanza dei lavoratori nelle aziende». Il responsabile del lavoro per il Pd Fassina alza il tiro: «singolare che la presidente Marcegaglia si sostituisca al giudice nella valutazione del comportamento Fiat a Melfi. A Melfi, si gioca una partita di carattere generale. I tre operai licenziati difendono, insieme alla loro, la dignità di tutti i lavoratori. Le condizioni del lavoro non possono essere la variabile dipendente sulla quale scaricare le oggettive esigenze di competitività globale delle imprese». Ma gli replica il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Parlando al Meeting di Rimini, il ministro avverte: se si vogliono «diritti perfetti nella fabbrica ideale» si rischia «di avere diritti perfetti ma di perdere la fabbrica che va da un'altra parte». Tremonti ha poi sottolineato che «una certa qualità di diritti e regole non possiamo più permetterceli. In uno scenario globale non possiamo pensare che sia il mondo ad adeguarsi all'Europa, ma è l'Europa che deve adeguarsi al mondo».

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