Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Istat: nel 2009 quasi 3 milioni di lavoratori non in regola

Lavoro

  • a
  • a
  • a

Dal 2001 al 2009 si assiste ad una riduzione delle unità di lavoro non regolari e ad una crescita corrispondente di quelle regolari. «Oltre a fattori strettamente legati all'andamento del sistema economico - spiega l'Istat - le diverse dinamiche del lavoro regolare e non regolare sembrano essere riconducibili anche ad interventi normativi, rivolti sia al mercato del lavoro che a regolamentare il lavoro degli stranieri non residenti sul territorio». LE TIPOLOGIE DI LAVORATORI NON IN REGOLA - L'Istat individua tre diverse tipologie di occupati in nero: gli irregolari residenti, gli stranieri non regolari e le attività plurime non regolari (in pratica chi svolge un secondo lavoro in nero). Dal 2001 gli irregolari residenti rappresentano la componente più rilevante delle unità di lavoro non regolari e si attestano nel 2009 intorno a 1 milione e 652 mila unità. L'altra componente rilevante è rappresentata dalle unità di lavoro riferibili alle posizioni plurime (937 mila unità). Gli stranieri clandestini rappresentano, invece, la componente più piccola del lavoro non regolare (377 mila unità di lavoro nel 2009). NEL 2009 MENO IRREGOLARI STRANIERI - Nonostante gli interventi di sanatoria, tuttavia, è da rilevare che tra il 2001 e il 2008 il numero di lavoratori stranieri irregolari in Italia è cresciuto, subendo un'inversione di tendenza soltanto nel 2009. Tale dinamica è dovuta presumibilmente ad una crescita tendenziale della domanda di lavoro da parte delle famiglie (in particolare colf e badanti), che solo nel 2009 è stata controbilanciata dalla diminuzione degli stranieri occupati nelle imprese. «Nel periodo 2001-2008 gli interventi normativi - conclude l'Istat - hanno, quindi, agito nella direzione di un contenimento del lavoro non regolare, consentendo di trasformare lavoratori già occupati irregolarmente in posizioni lavorative regolari. La crisi economica dell'ultimo biennio, invece, ha modificato il quadro che, sebbene ancora basato su evidenze statistiche che dovranno essere consolidate, evidenzia una riduzione complessiva dell'occupazione pari a 660 mila unità, con una forte contrazione del lavoro regolare (-668 mila unità), accompagnata da una lieve crescita del lavoro non regolare (+8 mila unità). La diversa dinamica del lavoro regolare e non regolare ha determinato una modesta crescita del tasso di irregolarità, passato dall'11,9 per cento del 2008 al 12,2 per cento nel 2009». AGRICOLTURA IN TESTA - Osservando i vari settori, l'agricoltura emerge come il settore con la maggiore incidenza di unità di lavoro non regolari e con un tasso di irregolarità in aumento dal 20,9 per cento del 2001 al 24,5 per cento del 2009. Il settore industriale presenta il minor tasso di irregolarità: l'industria in senso stretto è coinvolta marginalmente dal fenomeno del lavoro non regolare, che nel periodo 2001-2009 si è mantenuto intorno al 4 per cento. Diverso è il caso delle Costruzioni, che impiegano una quota di lavoro non regolare significativa, ancorch‚ in discesa dal 15,7 per cento nel 2001 al 10,5 per cento nel 2009. Il settore dei servizi è interessato dal fenomeno del lavoro non regolare in misure differenti a seconda dei comparti. Il tasso di irregolarità è particolarmente rilevante in quello del Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni (18,7 per cento nel 2009).   IL SOMMERSO ECONOMICO MINACCIA IL PIL - Nel 2008 il valore aggiunto prodotto nell'area del sommerso economico è compreso tra un minimo di 255 e un massimo 275 miliardi di euro. Lo afferma l'Istat, spiegando che il peso dell'economia sommersa è compreso tra il 16,3% e il 17,5% del Pil (nel 2000 era tra 18,2 e 19,1%). Tra il 2000 e il 2008 l'ammontare del valore aggiunto sommerso registra una tendenziale flessione, pur mostrando andamenti alterni: la quota del sommerso economico sul Pil raggiunge il picco piu' alto (19,7%) nel 2001, per poi decrescere fino al 2007 (17,2%) e mostrare segnali di ripresa nel 2008 (17,5%). Il sommerso economico deriva dall'attività di produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge all'osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno della frode fiscale e contributiva.   REDDITI NON DICHIARATI - Tra il 2000 e il 2008 l'ammontare del valore aggiunto sommerso registra una tendenziale flessione, pur mostrando andamenti alterni: la quota del sommerso economico sul Pil raggiunge il picco più alto (19,7 per cento) nel 2001, per poi decrescere fino al 2007 (17,2 per cento) e mostrare segnali di ripresa nel 2008 (17,5 per cento). Il fenomeno dell'economia sommersa è molto complesso e la sua dimensione può essere stimata analizzando i diversi comportamenti fraudolenti assunti dagli operatori economici per evadere il sistema fiscale e contributivo. La pratica dell'utilizzo di lavoro non regolare, ad esempio, è strettamente connessa al mancato versamento dei contributi sociali: nel 2008 erano circa 2 milioni e 958 mila le unità di lavoro non regolari (ula). Questa componente, che rappresenta l'11,9 per cento dell'input di lavoro complessivo nel 2008, raggiunge il 12,2 per cento nel 2009. Se le prestazioni lavorative sono non regolari, e quindi non direttamente osservabili, producono un reddito che non viene dichiarato dalle unità produttive che le impiegano. Nel 2008 l'incidenza del valore aggiunto prodotto dalle unità produttive che impiegano lavoro non regolare risulta pari al 6,5 per cento del Pil, in calo rispetto al 2000 quando ne rappresentava il 7,5 per cento. SOTTODICHIARAZIONE DEL FATTURATO E RIGONFIAMENTO DEI COSTI - Ma l'impiego di lavoro non regolare rappresenta soltanto una componente dell'economia sommersa. La parte più rilevante del fenomeno è costituita dalla sottodichiarazione del fatturato e dal rigonfiamento dei costi impiegati nel processo di produzione del reddito. Nel 2008 l'incidenza del valore aggiunto non dichiarato dovuto a quest componenti raggiunge il 9,8 per cento del Pil (era il 10,6 per cento nel 2000). A livello settoriale l'evasione fiscale e contributiva è più diffusa nei settori dell'Agricoltura e dei Servizi, ma è rilevante anche nell'Industria. Se si considera la sola economia di mercato, senza considerare, cioè, il valore aggiunto prodotto dai servizi non market forniti dalle Amministrazioni pubbliche, il sommerso nel 2008 rappresenta il 20,6 per cento del Pil, contro il 17,5 per cento calcolato per l'intera economia.  

Dai blog