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In Borsa c'è il gioco al massacro

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Continua l'altalena delle borse. Ieri Milano ha aperto in flessione dell'1,3 per cento. Una caduta solo parzialmente ricuperata durante la seduta, che si è chiusa con una flessione dello 0,46 per cento. Dietro questo andamento contraddittorio non c'è solo il rimbalzo tecnico dopo l'euforia che aveva contagiato tutti i listini lunedì, sulla scorta dell'accordo sul fondo europeo salva-Stati, e che aveva gonfiato l'indice Ftse-Mib di oltre l'11 per cento. Dietro le montagne russe dei titoli c'è, semplicemente, la grande incertezza che sovrasta le scelte degli investitori. A dispetto degli impegni presi, l'Unione europea non ha ancora saputo offrire una risposta credibile alla crisi greca. Perché il fallimento greco è la punta dell'iceberg di un'esposizione debitoria enorme, che mette a repentaglio la tenuta delle finanze pubbliche di almeno altri tre paesi: Portogallo, Spagna e Italia. Tutto nasce dalla sfiducia. Se uno Stato ha il bilancio a posto - cioè le entrate fiscali sono uguali o superiori alle uscite, tra spesa pubblica e spesa per gli interessi sul debito - non ha grandi problemi a raccogliere capitali, perché è considerato solvibile. Quando però i conti vanno in deficit, restano in rosso, e non hanno alcuna prospettiva di tornare in attivo, gli investitori, spaventati dal rischio di default, pretendono interessi più alti. Meno un paese è credibile, più alta è la remunerazione che deve concedere, se vuole ottenere soldi dal mercato. Quando non ce la fa più, si trova nella situazione in cui oggi è Atene. La promessa, da parte di Bruxelles, di creare un maxi-fondo contro la bancarotta degli Stati membri della Ue serve, teoricamente, a garantire i mercati contro il rischio di rimanere col cerino in mano. Per questo i rialzi di lunedì hanno interessato soprattutto i titoli bancari e, in generale, finanziari: perché sono banche e investitori istituzionali a possedere gran parte del debito sovrano a rischio. Quindi, le centinaia di miliardi dei contribuenti messe sul piatto dall'Ue non sono, se non in senso molto stretto, diretti a salvare la Grecia (e chiunque abbia lo stesso tipo di problemi): servono a tranquillizzare i creditori. L'effetto è devastante, perché scatena un'ondata di «azzardo morale». Se io so che, pur prestando denaro a una controparte potenzialmente insolvente, qualcun altro coprirà le falle, perché dovrei essere cauto nel selezionare i miei debitori? Razionalmente, presterò ancora più soldi a chiunque me li richieda, senza curarmi troppo della sua solidità. Se il rischio viene attutito, o viene attutita la mia percezione del rischio, rischierò di più. È come se si dicesse a un automobilista: sulla tua strada non c'è nessun autovelox. È molto probabile che non rispetterà il limite di velocità. Quindi, i listini spiccano il balzo. Poi però tutti si guardano attorno e capiscono che tutti hanno ragionato allo stesso modo. Capiscono che, per quanta liquidità venga accantonata, non sarà possibile per l'Europa, cioè in ultima analisi per i francesi e i tedeschi, coprire le perdite di tutti. Qui scatta il parziale «contrordine compagni», e le borse cedono. Quello che dovrebbe preoccupare, allora, non è tanto l'andamento di breve termine delle quotazioni, ma le loro prospettive di lungo periodo. Che salgano o scendano, in ultima analisi tutto è un gioco al massacro ai danni del contribuente. Il massacro del contribuente non è mai una buona idea, perché indebolisce la crescita economica. Più i leader politici europei scherzano col fuoco, più i loro elettori finiranno bruciati.

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