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Dietro al disastro la maledizione del petrolio

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Ladecisione da parte del colosso finanziario Dubai World di chiedere ai propri creditori una moratoria di sei mesi sta infatti allarmando in tutto il Golfo. Dopo aver quasi dissolto il sogno di uno sky-line in cui tecnologie avveniristiche e tradizione musulmana sembravano fondersi perfettamente, questo brusco risveglio obbliga però a qualche considerazione più generale, specie in merito alla cosiddetta finanza islamica. Dopo la crisi dei subprime, che una lettura moraleggiante ha attribuito unicamente all'egoismo dei banchieri occidentali, da più parti si è iniziato a guardare al sistema creditizio musulmano (che esclude il prestito a interesse e ricorre a una compartecipazione del rischio e dell'utile) come a un modello. Ora possiamo rileggere l'intera questione con più pacatezza, comprendendo come in realtà la legittimazione medievale dell'usura - da Olivi a San Bernardino, agli scolastici di Salamanca - sia un elemento essenziale della nostra civiltà. Non c'è nulla di perverso in sé nell'interesse (che è poi una specie di "affitto" del capitale), così come non si possono demonizzare i derivati: che sono contratti di natura essenzialmente assicurativa. Semmai si deve criticare questo o quell'uso di tali strumenti, ma si tratta di una questione ben diversa. Non ha senso, insomma, pensare di buttare a mare secoli di storia ed evoluzione, come se la finanza non avesse giocato un ruolo cruciale nell'espansione economica e civile dell'Europa. Per giunta, la vicenda di Dubai aiuta pure a comprendere - una volta di più - quanto sia fragile la ricchezza di una regione che dipende in larga misura dalle risorse naturali. Da tempo, gli economisti parlano di una «maledizione delle materie prime», per evidenziare come i Paesi forniti di petrolio finiscano - nel medio e lungo periodo - per essere penalizzati. Come mai? La spiegazione è semplice. Quando un produttore trae la maggior parte della propria ricchezza dalle materie prime è agevole, per il ceto politico, operare un controllo quasi assoluto dell'economia. Statizzato il petrolio, ad esempio, non è difficile mettere le mani su tutto il resto, anche creando vaste clientele e cancellando ogni incentivo a intraprendere. Nei piccoli e ricchissimi Paesi del Golfo, pochi emiri dominano - con l'aiuto di familiari e amici - l'intera società, ma tutto questo ha conseguenze disastrose sugli incentivi fondamentali e anche sulla stessa vita morale. Quanti visitano tali Paesi sono colpiti dal fatto che solo un numero limitato di cittadini degli emirati lavorano effettivamente, dato che in genere ci si limita a importare forza lavoro (palestinesi, ad esempio), mentre quanti hanno la cittadinanza godono - solo in ragione di tale status - di una forma di vitalizio. Può apparire una condizione invidiabile, ma sul lungo periodo non aiuta assolutamente lo sviluppo. Come anche l'ultima vicenda sembra dimostrare. Carlo Lottieri

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