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Ben Ammar: «A Mediobanca l'accordo funziona»

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«Il patto del 7 aprile ha retto insieme alla limitazione del conflitto di interessi degli azionisti»

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È Tarak Ben Ammar, consigliere designato di Mediobanca, destinato ad entrare nel Cda in rappresentanza dei soci francesi insieme a Jean Azema, a commentare così le novità emerse dal consiglio di amministrazione di Piazzetta Cuccia. «Sono contento di poter dire che l'accordo del 7 aprile ha funzionato ed è stato positivo per Mediobanca e positivo per tutti gli azionisti» osserva l'imprenditore franco-tunisino che, nella difficile partita di Mediobanca, è stato consigliere di Vincent Bolloré. E che non appare per nulla deluso dal rinvio della sua cooptazione in consiglio, anche perché l'ingresso, votato all'unanimità dal patto di sindacato e dallo stesso cda, è ormai certo. Del resto, una volta acquisiti gli ingressi in Consiglio di amministrazione, la data di insediamento, fissata al 15 settembre, appare non di primaria importanza rispetto all'impianto del patto tra azionisti che, a giudizio di Ben Ammar, tiene e sta dando i suoi frutti. E che, dunque, non è stato un «compromesso» per cacciare Vincenzo Maranghi dal vertice della banca d'affari. «Stiamo vedendo chiaramente - dice il consigliere designato di Mediobanca - con tanto di fatti a dimostrarlo, che l'accordo del 7 aprile è stato buono per Mediobanca e buono per tutti gli azionisti. Basta guardare all'attività di Mediobanca dal 7 aprile ad oggi e anche all'attività di Generali dal 7 aprile ad oggi per capire che la stabilità e l'armonia tra i consiglieri e i soci erano assolutamente necessarie per creare valore». A questi fattori, «naturalmente», c'è da aggiungere «la buona gestione da parte del management», ivi compreso l'ex ad Vincenzo Maranghi «le cui capacità di banchiere - sottolinea Ben Ammar - non sono mai state messe in discussione». In altre parole, il patto ha retto al passare dei mesi e alla realizzazione degli accordi in esso contenuti. Come la limitazione del conflitto di interessi delle banche azioniste che svolgono anche attività di banca d'affari in proprio: su questa necessità i «francesi» avevano molto insistito. Anche se Tarak non lo dice, in questo senso è stato letto il «passo indietro» fatto dall'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, che l'altro ieri ha annunciato la volontà di lasciare l'esecutivo di Mediobanca. Dicendo di attendersi da Capitalia analoga uscita. Tarak glissa: «Posso dire - si limita a commentare - di aver avuto ragione a nutrire piena fiducia nell'accordo e negli uomini che l'hanno firmato». Proprio Tarak Ben Ammar è considerato tra i principali artefici dell'accordo che, con le dimissioni di Vincenzo Maranghi e l'ingresso dei soci esteri, ha messo la parola fine alla «battaglia» che divampava a Piazzetta Cuccia. Conclusa, appunto, con la «pace» siglata il 7 aprile scorso. Giorno in cui l'assemblea del Patto di sindacato prendeva atto delle dimissioni dei vertici di Mediobanca a partire dall'uscita dell'amministratore delegato Vincenzo Maranghi. Nella stessa occasione Bolloré veniva designato come componente del Cda. Sempre secondo gli accordi dello scorso aprile, al gruppo C degli investitori esteri (presenti con il 10% del capitale Mediobanca) spettano quattro posti: insieme a Bolloré è già entrato Antoine Bernheim mentre sono stati designati, appunto, Tarak Ben Ammar e Jean Azema. Intanto, martedì in consiglio di amministrazione (e nel comitato esecutivo) è entrato Matteo Arpe in rappresentanza di Capitalia, in sostituzione dello scomparso Giorgio Brambilla.

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