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Il dietrofront di Alberto Fortis: "Romani, vi ho sempre amato"

Il cantautore celebra i 40 anni dall'esordio. E spiega la sua hit contro i "vizi" della Capitale. Dall'incontro con McCartney all'amicizia con Califano: "Poeta maledetto dal cuore d'oro"

Davide Di Santo
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È difficile trovare nel panorama musicale italiano un esordio fulminante come quello di Alberto Fortis. L'album omonimo del '79, che contiene brani come «A voi romani», «Milano e Vincenzo», «Il Duomo di notte», è un concentrato di vis polemica, poesia e pensiero fuori dagli schemi. A quarant'anni dall'uscita e in occasione della riedizione autografata in vinile giallo ne abbiamo parlato con il cantautore di Domodossola, medico mancato, scrittore e interprete di canzoni tra i più originali. «I quarant'anni di carriera rappresentano un giro di boa importante», racconta Fortis. Siamo alla fine degli anni '70, lei aveva 24 anni... «Questo disco arrivava dopo tre anni di porte chiuse in faccia, da tutte le etichette italiane. "Milano e Vincenzo" è il racconto di quel clima lì (il riferimento dei versi "Vincenzo io ti ammazzerò, sei troppo stupido per vivere" è al discografico e talent scout Micocci, reo di tenere Fortis in "panchina" troppo a lungo, ndr). Poi, le cose vanno sempre così, nel corso della mia carriera ho lavorato a lungo con i figli di Micocci. E naturalmente ho fatto pace con Vincenzo, in pubblico e in privato. Lui è stato un grandissimo discografico, ha scoperto tutta la scuola romana da De Gregori a Venditti. Non solo, è stato determinante per le prime colonne sonore del maestro Ennio Morricone. Ero approdato all'Rca stregato dal concept album "Questo piccolo grande amore" di Claudio Baglioni, che si era abbattuto come un fulmine sulla musica italiana di allora. Ero sotto contratto ma non mi facevano fare niente, così sbottai con quel brano». Altra canzone simbolo, "A voi romani". Li/ci odia ancora? «Per quel brano me ne hanno dette di tutti i colori: incivile, razzista, disgraziato... Ma il mio obiettivo era puntare il dito sulla burocrazia dell' industria musicale, che poi era la diretta conseguenza di un meccanismo politico e istituzionale. Non ho nulla contro Roma e i romani, anzi, li amo. Se il potere fosse stato a Benevento l'avrei scritta contro i beneventani... A vent'anni, poi, non calcoli la reazione che possono avere certe parole. L' ho scritta così, e forse ci avevo visto giusto, date le vicende di Mafia Capitale». Ha avuto il privilegio di registrare quell'album con la Pfm. Che esperienza è stata? «Una favola, abbiamo registrato al Castello di Carimate, un posto bellissimo e all'epoca tra gli studi più importanti non solo in Italia. Questo mi ha abituato a ricercare sempre l' eccellenza: nel secondo album c'era Mauro Pagani, per il terzo sono andato a Los Angeles». Ha sempre cercato collaborazioni con artisti internazionali. Quale ricorda con maggior piacere? «Quella con George Martin (celebre produttore, noto come "quinto Beatle", ndr). Era il 1982 e stavamo registrando ad Abbey Road insieme ad alcuni elementi della London Philarmonic Orchestra. Quando ha saputo che la titletrack del disco, "Fragole infinite", era ispirata a "Strawberry fields", mi ha lasciato cantare con il microfono usato da John Lennon. In quella sessione incontrai Paul McCartney, e la sua Linda. Grandi soddisfazioni personali, che dicono molto di me. Cerco di non riposare sugli allori. Invece viviamo in epoca che si accontenta, basta guardare questi rapper e trapper. Va bene la libertà di dire quello che si vuole, ma la sostanza è veramente poca». La trap è comunque un fenomeno. Alimentato da ragazzi di vent'anni, quanti ne aveva lei all'esordio. «Io mi sono cimentato nel rap all' inizio degli anni Ottanta, quindi conosco il genere. L' hip hop negli Stati Uniti ha una realtà sociale credibile e profonda. Come per noi l'opera, anche se può sembrare un' eresia. I rapper italiani veri, invece, si contano sulle dita di una mano. Caparezza è uno di questi. I trapper, invece, dicono tutti la stessa cosa: "bamba", soldi e sesso. Il rischio è che i ragazzini pensino che quella sia bellezza». X Factor è a corto di giudici per la prossima stagione. Le piacerebbe? «Oggi siamo in quest' era strana dove se un singolo non funziona in quattro settimane tutto il disco è da buttare. Per questo ci andrei, ma solo se avessi carta bianca per puntare sulla qualità». Ha già partecipato a Music Farm... «Una bellissima esperienza soprattutto perché ho conosciuto Franco Califano. Un poeta maledetto dal cuore d' oro. La sua intelligenza teatrale gli permetteva di dire cose alla Hannibal Lecter risultando simpatico. Lo porto nel cuore, perché siamo diventati amici. Il suo rifiuto dell' amore "stabile" era esistenziale: l'ostinazione a non cedere sentimentalmente a una donna era in fondo un'esigenza di libertà. Negli ultimi anni era diventato vittima del suo costume, come il clown felliniano. Ma lo spessore del personaggio è così grande... Ce ne fossero oggi come Califano».

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