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Lady Morrell, la musa che scandalizzò l'arte

Dall'amicizia di Conrad all'amore con Virginia Woolf, ne "I ricordi di una signora meravigliosa" l'aristocratica e la sua vita al fianco degli scrittori

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Non era bellissima Lady Ottoline Morrell, la celebre aristocratica inglese, femminista e sostenitrice del «matrimonio aperto», indiscussa protagonista dei salotti culturali dell'età vittoriana e creatrice del Bloomsbury Group, il mitico circolo dove si ritrovarono artisti, scrittori, economisti destinati a diventare celebri, da Bertrand Russell a Lytton Strachey, da Virginia Woolf a Joseph Conrad, da Thomas Stearns Eliot ad Aldous Huxley fino a John Maynard Keynes. Eppure, questa donna aveva un grande fascino che la rendeva attraente e disponeva di una grande intelligenza altamente seduttiva. Non è un caso abbia finito per ispirare alcuni personaggi letterari della narrativa inglese del primo Novecento. Davin Herbert Lawrence pensò proprio a lei creando Hermione Raddice di «Donne innamorate» e, forse, la stessa scandalosa Lady Chatterley. Lo stesso fece Graham Greene tratteggiando la figura di lady Caroline Bury in «Un campo di battaglia». Aldous Huxley - il quale, pure, la prese a modello per Mrs Bidlake di «Punto contro punto» - scrisse che era «decorativa come una chiesa barocca austriaca» e che la sua voce ricordava «un po' il tubare di una colomba e un po' il ruggire del leone», mentre Virginia Woolf, la quale (sembra) fu anche una delle sue amanti, pur definendola «a volte ridicola o inverosimile» fece notare com'ella «più che una donna» fosse «un portento, una creatura spontanea e simpatica». L'esistenza di Lady Ottoline Violet Anne Cavendish-Bentinck, vissuta fra il 1873 e il 1938, raccontata in una deliziosa autobiografia, «I ricordi di una signora meravigliosa» (Castelvecchi), si sviluppò all'insegna dell'anticonformismo e dell'eccentricità. Apparteneva a un'illustre famiglia della nobiltà britannica (il fratello avrebbe ereditato il titolo di duca di Portland) ed era stata educata secondo i canoni propri di quella aristocrazia che, per tanto tempo, avrebbe costituito il nerbo e il vivaio della classe dirigente inglese: cultura letteraria e artistica, soggiorni in villa alternati a quelli londinesi e continui viaggi all'estero. Una delle mete preferite era l'Italia, all'epoca destinazione finale di quel Grand Tour della gioventù di buona famiglia: Sanremo, Firenze e la Toscana tutta, le città del Rinascimento, Venezia, Roma, Napoli, Capri e via dicendo. All'Italia fu sempre legata perché, in una sorta di trasfigurazione mitologica, la vedeva come «la terra delle libertà» prima ancora che come il paese più ricco d'Europa di cultura e di monumenti. A Capri sbocciò il primo della sua lunga serie di amori, quello con il celebre medico svedese Alex Munthe, che avrebbe legato il suo nome alla celebre villa di Anacapri, ancora oggi meta di migliaia di turisti, e autore di uno dei libri di maggior successo dei primi decenni del Novecento, l'autobiografico La storia di San Michele. Munthe viveva in un «palazzo fiabesco, perfetto in tutto, fatto di marmo, con il pavimento di piastrelle blu e una piccola fontana decorata con ghirlande verdi e fiori, e una lampada a olio che pendeva come fosse uno spirito magico». Il medico che, all'epoca, aveva una quarantina di anni e l'aspetto di «un affascinante satiro dall'aria sveglia», le chiese di sposarlo, ma il matrimonio non si concretizzò per motivi di incompatibilità religiosa. Ottoline sposò, invece, qualche anno dopo, nel 1902, un uomo politico liberale, Philip Morrell e si stabilì a Londra dove frequentò e condivise le amicizie del marito e i sogni di riforma politica e sociale che avrebbero dovuto portare a «costruire Gerusalemme nella bella terra d'Inghilterra», come recitava una famosa canzone dell'epoca. A Londra, Ottoline divenne la musa ispiratrice del famoso circolo di Bloomsbury all'ormai mitico 44 Bedford Square, dove transitò il fiore dell'intelligenza progressista inglese del tempo e che si caratterizzò per il suo anticonformismo, per la polemica contro le rigidità moralistiche della Gran Bretagna vittoriana e per il libertinismo dei costumi. Nelle sue frizzanti e nostalgiche memorie Lady Ottoline Morrell offre un quadro pieno di chiaroscuri della vita culturale, artistica e politica del tempo. Incontriamo, nelle sue pagine, il grande storico Lytton Strachey, autore di opere che hanno innovato il genere biografico, come «Eminenti vittoriani» e «La regina Vittoria», pur esse ristampate da Castelvecchi: questo scrittore, che Indro Montanelli avrebbe considerato un maestro, era «una figura alta e dinoccolata, con un viso lungo, cadaverico, il grosso naso e i baffi penzoloni» che «non lo rendevano certo attraente». E poi l'enigmatica Katherine Mansfield, la «meravigliosa» Virginia Woolf, «entusiasta e umana» la cui «deliziosa immaginazione intellettuale» la rendeva simile a «una rondine che vola sopra la vita con le ali come spade». E, ancora, il filosofo Betrand Russell del quale Lady Ottoline ammirava il «modo appassionato di sezionare un soggetto in tanti piccoli pezzi fino a scoprirne le radici» ma che la trattava «come una bambola di pezza». Con molti, uomini e donne, di questi intellettuali la Morrell intrecciò relazioni sentimentali all'insegna di un libertinismo culturale che si trasformava in libertinaggio e di un anticonformismo intellettuale che la spingeva ad assumere posizioni di rottura in campo politico. Come quando, per esempio, si impegnò in prima persona per sostenere, alla vigilia della Grande Guerra, un movimento d'opinione pacifista che le alienò le simpatie dell'alta borghesia e dell'aristocrazia britannica, ovvero per portare avanti le sue idee femministe sostenendo le suffragette. Una vita scandalosa e leggendaria, quella di Lady Ottoline Morrell, che riflette inquietudini e turbamenti di un'epoca di transizione, crocevia tra la spensieratezza di una declinante Belle Époque e le minacciose avvisaglie di una apocalisse.

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