Opera sotto le stelle, croce e delizia
Scelte popolari per un pubblico eterogeneo. E con rischi acustici A Caracalla allestimenti intimisti tra la «Bohème» e il «Barbiere»
È la solita vexata quaestio del far musica all'aperto, eternamente dibattuta nei foyer dei teatri o nei bar delle istituzioni concertistiche da ferventi musicofili, volenterosi musicanti e dotti musicologi ma senza una via d'uscita, un probabile accordo. In realtà sin dall'aulico Settecento le musiche all'aperto erano in auge ma erano opportunamente destinate per lo più agli strumenti a fiato (i "piffari" delle processioni attestati dalle pitture veneziane del Cinquecento o le gustose e disimpegnate Cassazioni, Divertimenti e Serenate di moda nella Vienna imperiale). In età moderna però sul tema – ossia sulla utilità di fare musica all'aperto o, come si direbbe più elegantemente, en plein air – agli inizi della novecentesca pratica, si era espresso senza mezzi termini Arturo Toscanini, uno che di musica pare se ne intendesse davvero, con una frase che suonava quasi come una sentenza senza appello: «All'aperto si può solo giocare bene a bocce». Ma le esigenze sia degli esangui bilanci degli Enti lirici, sia di una proposta musicale estiva, sfruttando spazi all'aperto suggestivi di cui è fortunatamente ricco il Bel Paese, hanno spronato, da sin dopo la guerra, a stagioni liriche estive come quelle, tanto per citare le più popolari, dell'Arena di Verona, dello Sferisterio di Macerata e delle Terme di Caracalla di Roma. Come rinunciare a platee quasi da stadio (a Roma anni addietro si vide pure una Tosca sotto la Curva Nord dell'Olimpico) e comunque a tutto quel flusso estivo di turisti (benefico per le nostre dissestate finanze) che visitano il nostro Paese e ancora pensano che l'Italia sia ancora il Paese della Musica come all'epoca di Haendel o Mozart, dimostrando evidentemente di essere poco informati? Certo, l'esecuzione all'aperto pone tutta una serie di problemi difficilmente risolvibili in maniera ottimale. Innanzitutto quello acustico, sempre ovviato da amplificazioni spesso non all'altezza che impediscono ad esempio di valutare l'esatta forza di una voce. Poi tutta la sequela degli imprevisti che vanno dai gabbiani starnazzanti alle svogliate cicale, dal passaggio di aerei e di ambulanze quando non a qualche limitrofo Festival dell'Amicizia con i suoi ritmi rock non tenuto lontano dalla previdenza del Municipio. I puristi, gli amanti delle belle voci, hanno dunque più che ragione ad arricciare il naso: insomma se si vuole sentire davvero un'opera meglio scegliere le volte rassicuranti di un Teatro all'italiana con i suoi palchetti e le sue studiate risonanze. Ed a soffrirne sono anche gli allestimenti, visto che tecnicamente lo spazio all'aperto non offre le stesse possibilità di quello al chiuso (ad esempio l'"americana" che sostiene i riflettori dall'alto,ma anche i cambiamenti di scena rapidi e non a vista). Senza dire infine che gli stessi titoli sono condizionati dalla platea di spettatori episodici e di bocca buona. C'è però anche il rovescio della medaglia, ovvero la possibilità di offrire ad un pubblico più largo ed eterogeneo (non solo di stranieri, ma anche di italiani in vacanza e dunque con più tempo libero a disposizione) l'opportunità di assistere ad un'opera lirica, genere che fortunatamente ancora gode di una larga popolarità. Certo a questo punto la scelta deve cadere su titoli consolidati e di grande spettacolo (ecco l'evergreening Aida con i suoi cori, le sue danze e le sue marce trionfali sempre pronta per Caracalla, nei cui spazi si sposa a perfezione) o magari una Carmen o una Cavalleria rusticana . Insomma bisogna riempire gli spazi scenici con le masse dei figuranti, dei coristi e dei tersicorei alla maniera del grand opéra francese. Né si consigliano regie sperimentali che, se sono a rischio calcolato al chiuso, sarebbero proprio inadatte e fuorvianti per uno spettacolo popolare e un pubblico generalista come quello estivo. Insomma grande repertorio in confezioni piuttosto tradizionali per consolidare un pubblico ed anzi conquistarne, se possibile, uno nuovo. Obbediscono a queste linee guida i teatri sopracitati. Macerata propone Aida con la Cedolins e la Ganassi, ma anche Tosca e Traviata con la regia di Brockhaus. Più ricco comprensibilmente il cartellone di Verona con un Ballo in maschera (regia di Pizzi) diretto dal giovane Battistoni che sarà sul podio anche dei Carmina burana , tre stagionate regie di Zeffirelli per Carmen (teletrasmessa il 21), Turandot (diretto da Oren) e Butterfly , ed inoltre due diverse Aide , quella nuova della geniale Fura dels Baus catalana e quella storica del 1913 con regia di De Bosio. Più ricercata la scelta di Roméo et Juliette di Gounod, omaggio al numen loci ed alla tragica storia degli amanti veronesi raccontata da Shakespeare. Caracalla risponde a sua volta con due titoli non proprio azzeccatissimi: sia la intimista Bohème (dal 14 luglio) che (dal 6 agosto) il dinamico Barbiere di Siviglia (solo sei personaggi in scena, senza coro e senza ballo) infatti non sembrano certo titoli tali da riempire una platea di 5000 persone per 16 sere (ottantamila spettatori in tutto). Per il bene del Teatro ci auguriamo naturalmente di sbagliare, ma le previsioni vanno nella direzione indicata. Al botteghino dunque l'ardua sentenza.
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