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Gabriele D'Annunzio e il volo dell'Arcangelo che cambiò la Storia Rischiò di perdere la vita, si pensò ad un attentato In realtà fu spinto da una signora importunata

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di Francesco Perfetti La sera del 13 agosto 1922 Gabriele D'Annunzio cadde dal balcone di una stanza del Vittoriale e rimase fra la vita e la morte per molti giorni. Il "volo dell'Arcangelo"...

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La sera del 13 agosto 1922 Gabriele D'Annunzio cadde dal balcone di una stanza del Vittoriale e rimase fra la vita e la morte per molti giorni. Il "volo dell'Arcangelo" suscitò subito molte illazioni, che contraddicevano la versione ufficiale comunicata alla stampa secondo la quale il poeta, mentre stava cercando un po' di fresco nella serata afosa, sarebbe stato colto da un capogiro. Il 17 agosto, per esempio, il giornale Il Comunista insinuò che la caduta fosse dovuta a un fatto doloso. Altri ventilarono l'ipotesi che il poeta avesse tentato il suicidio e non mancò chi sostenne che la caduta non era mai avvenuta. La verità è diversa. D'Annunzio stava ascoltando della musica suonata per lui da Luisa Baccara. Era appoggiato a una finestra e, vicino, aveva la sorella della pianista, la giovane Jolanda. La caduta fu causata, probabilmente, da una mezza spinta datagli da una delle Baccara, o Jolanda per opporsi a qualche avance o Luisa intervenuta per gelosia. Ancora in stato di semi-incoscienza, il 21 agosto, il poeta mormorò una frase significativa appuntata dal medico curante: "E Joio? Jolanda, si sarà spaventata e sarà scappata a Venezia". Fu disposta una inchiesta riservata affidata al commissario Giuseppe Dosi, divenuto poi famoso per il caso Girolimoni. Questi si presentò in incognito al Vittoriale. Si fece passare per un esule cecoslovacco, un ex ufficiale della legione cecoslovacca sul fronte italiano, parlando tedesco e italiano con accento straniero. Fu autorizzato a frequentare il Vittoriale per dipingere paesaggi, ma, in realtà, interrogò il personale, la gente dei dintorni e conversò con lo stesso D'Annunzio fino a quando il poeta, insospettitosi, gli impose di andarsene chiamandolo "lurido sbirro". Nel rapporto consegnato ai superiori scrisse: "Secondo gli accertamenti da me compiuti nell'ambito della villa, non sarebbe andata del tutto esclusa l'ipotesi del fatto colposo, più di quella di un avvenimento casuale". Questi i fatti accertati. Ma attorno alla vicenda fu intessuta una trama dai contorni fantapolitici ricordata nel documentario D'Annunzio e Mussolini: i carissimi nemici realizzato da Rai Storia per il ciclo Il tempo e la storia. Una trama che rimanda all'infuocato clima politico del tempo e ai precedenti della conquista del potere da parte del fascismo. Dopo la conclusione dell'avventura fiumana D'Annunzio si era ritirato al Vittoriale in una specie di Aventino con l'intenzione di dare inizio a una nuova stagione creativa lontano dalla vita pubblica. Era intenzionato a resistere alle lusinghe di quanti cercavano di spingerlo a riprendere il posto di combattimenti. Tra questi vi erano gli ex legionari e i fascisti. I primi, legati ad Alceste De Ambris che era stato capo di gabinetto di D'annunzio a Fiume, cercavano di forzare la mano al poeta per fargli assumere una posizione antifascista in un momento nel quale il fascismo, soprattutto in campo sindacale, stava mietendo successi. I secondi, del resto, guardavano al poeta memori del fascino esercitato da D'Annunzio sul rivoluzionarismo combattentista che costituiva il nerbo dei fasci di combattimento. La suggestione dannunziana, insomma, malgrado la freddezza del poeta, continuava a percorrere le vene del movimento fascista e lo stesso Mussolini era consapevole che la figura di D'Annunzio era un polo d'attrazione per gli ambienti squadristi del suo movimento. In un quadro del genere, al centro del quale c'è la figura del poeta-soldato nell'eremo del Vittoriale, si collocano alcuni fatti: un incontro fra D'Annunzio e Mussolini nell'aprile 1921, l'appoggio del poeta alla candidatura di De Ambris alle elezioni di quell'anno, alcuni iniziative promosse dai sindacalisti dannunziani in chiave antifascista, il discorso improvvisato dal poeta il 3 agosto 1922 a Milano dal balcone di Palazzo Marino dopo il fallimento dello "sciopero legalitario" promosso dalla Alleanza del Lavoro. In quello stesso periodo erano stati avviati tentativi che riguardavano D'Annunzio, Mussolini e Francesco Saverio Nitti, il "Cagoia" del poeta, che sarebbero dovuti sfociare in una clamorosa riconciliazione pubblica fra i tre uomini destinati a portare, in prospettiva, a un governo di pacificazione nazionale. È difficile dire con certezza chi fosse il promotore dell'iniziativa che avrebbe dovuto aver luogo il 15 agosto in una villa toscana, anche se la più plausibile ipotesi porta a certi settori dell'entourage dannunziano. L'improvvisa caduta di D'Annunzio, proprio alla vigilia dell'incontro, ne impedì la realizzazione. Nitti scrisse nelle sue memorie: "Se D'annunzio non fosse caduto dalla finestra e l'incontro con lui, Mussolini e me fosse avvenuto, forse la storia dell'Italia moderna avrebbe seguito un altro cammino". In seguito, dopo l'incidente, con la proclamazione del 4 novembre come festa nazionale, alcuni esponenti della vecchia classe politica liberale pensarono di sfruttare, in chiave antifascista o super partes, D'Annunzio facendolo partecipare a una grande manifestazione patriottica che si sarebbe dovuta svolgere a Roma, all'Altare della Patria, nell'anniversario della vittoria. La marcia su Roma del 28 ottobre 1922 fece cadere il progetto. Questi mancati "appuntamenti politici" fecero proliferare teorie complottistiche e ipotesi di congiure, tutte indimostrabili, all'origine del "volo dell'Arcangelo". Siamo nel campo della fantapolitica o della fantastoria.

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