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Più comica che magica la bella «Cenerentola» del poliedrico Verdone

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Laauspicano i melomani per dimostrare che l'amato oggetto non è poi solo un ninnolo da nicchia, la prediligono gli spettatori di buona volontà illusi di accostarsi al sacro calice dell'Opera attraverso le modalità del "bello della diretta" tv, la promuovono infine (molto raramente) i vertici televisivi per dimostrare che un ente pubblico deve fare anche cultura. Ma il tubo catodico ha modalità (e tempi) ben diversi da quelli dello spettacolo dal vivo ed è obbligato in qualche modo a destare meraviglia con effetti speciali, digitali o supertecnologici. Non esaltanti gli ascolti nella prima serata di domenica: nel primo atto (dalle 20.30 alle 21.30) con uno share dell'11.04% e, nel secondo atto (dalle 23.28 alle 24.05), con il 7.92%. Oltre che ai potenti mezzi messi a disposizione dalla Rai per una impresa comunque impegnativa sotto tutti i profili (orchestra Rai da una parte, cantanti da un'altra) l'elemento da traino per questa Cenerentola da Torino in diretta oltre a quello di Rossini era il nome di Carlo Verdone, si proprio quello delle macchiette all'insegna del "famolo strano". Ma strano questa volta Verdone non l'ha fatto, anzi piuttosto ingessato e imbalsamato (si pensi cosa fece Gregoretti nel 1976 della Italiana in Algeri in tv con i mezzi primitivi della televisione di allora). Sono passati venti anni perché il popolare attore romano tornasse alla regia lirica ed a Rossini. Nel 1992 la sua regia del Barbiere di Siviglia a Roma aveva destato qualche lieve imbarazzo con le coccodellesche galline razzolanti in scena e una comparsa a dare una tastatina al lato B di una suorina di passaggio. Questo forse per giustificare una regia, quella della Cenerentola prodotta dal geniale Andrea Andermann, che è parsa piuttosto tradizionale e poco innovativa. Tutto partiva dal far coincidere il tempo fittizio della trama con quello reale, in altre parola la fatidica mezzanotte della inopinata fuga dal Regio Palazzo della semplice ragazza tutto cuore con la mezzanotte reale. E un treno svizzero non poteva essere più puntuale. Poche però le trovate, come ad esempio l'aria del bislacco sogno di Don Magnifico eseguita durante un pediluvio e le suggestive scene di animazione riservate al viaggio verso il palazzo con una silhouette di carrozza trainata all'andata da struzzi e dal temporale. Minimo anche il ruolo giocato dagli ambienti, solo nella terza parte in primo piano, dalla Villa dei laghi a Venaria reale alla residenza di caccia sabauda di Stupinigi sino al Palazzo Reale di Torino. Per il resto però si registrano tagli di recitativi (spesso indolori non essendo neppure autografamente rossiniani) e spostamenti di numeri musicali. E la tripartizione televisiva reca violenza alla logica della drammaturgia musicale originale, che si articola invece in due atti con un grande concertato finale alla fine del primo. La logica melodrammaturgica viene così sovvertita e sconvolta, ma si sa che le leggi del Moloch televisivo reclamano le loro vittime sacrificali. Eccellente per fortuna la resa musicale sotto la direzione (a distanza) dell'esperto Gianluigi Gelmetti con un cast ben assortito scelto non solo per motivi vocali. Quasi tutti dunque con il "physique du rôle": la deliziosa e dolce Cenerentola della giovane ucraina Lena Belkina, le caricaturali sorellastre delle signore Kasyan e Vestri, il bravissimo Carlo Lepore come travolgente Don Magnifico, il Dandini di Alberghini e il principe bambinone di Edgardo Rocha. Apprezzabile il cromatismo coloristico dei costumi.

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