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di Lidia Lombardi Il segno della Croce, la memoria del Golgota, quella dei martiri e dei battezzati nella Roma imperiale.

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Inun chilometro quadrato affastella suggestioni protocristiane che ne fanno passeggiata ricca di senso in questi giorni di Passione e Resurrezione. Guardate in alto a destra il mosaico bizantineggiante, Gesù che campeggia sul fondo oro. Introduce come un'insegna il percorso alla ricerca di simboli e storie di convertiti a Cristo. Ecco sulla via di fronte Santo Stefano Rotondo, che replica nella pianta la chiesa del Santo Sepolcro, a Gerusalemme. Ecco l'arco di Dolabella, quasi una quinta della fontana della Navicella. Ed ecco una via lunga, un muro alto e spoglio che cinge un parco. Una cesura che pare insormontabile tra un cammino assorto e, dall'altra parte, le palme, le magnolie, i pini di quel paradisiaco giardino che è Villa Celimontana. Si chiama San Paolo della Croce, la silenziosa strada. Chi era costui? Il più moderno religioso della zona, se posto al paragone di quelli che incontreremo nei pressi. Vive tra 1600 e 1700, diviene eremita nei luoghi di nascita, in Piemonte, sogna di combattere i Turchi infedeli. Per questo si fa chiamare Frate Paolo della Croce e i confratelli che abbraccia nell'Ordine da lui fondato li nomina «Chierici scalzi della Santa Croce e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo». La strada corre stretta e assolata quand'è mezzogiorno verso il respiro di uno slargo affascinante. È piazza Santi Giovanni e Paolo, dalla basilica dov'è sepolto appunto Paolo della Croce e che accoglie i visitatori con il portico di colonne ioniche, il campanile romanico, lo sfondo della cupola barocca, l'affastellarsi dei muri del convento dei Passionisti. Giovanni e Paolo non erano gli apostoli di Gesù. Ma due fratelli che qui abitavano, qui furono martirizzati nel 362 dall'imperatore Flavio Claudio Giuliano, il temuto Apostata che rinnegò il cristianesimo a favore degli déi pagani. Prima ancora, nel I secolo, era una domus ecclesiae, un oratorio delle comunità paleocristiane. Quando poi sgorgò il sangue della decapitazione di Giovanni e Paolo - non si erano piegati all'ordine dell'Apostata di adorare Giove - il senatore Bizante o suo figlio Pammachio decisero che il ricordo del martirio doveva essere testimoniato con una basilica. Bisognava anche sancire un miracolo. Quello di cui godette il figlio di Terenziano, che come un ossesso urlava di essere perseguitato da Giovanni e Paolo. Sicché al padre non restò che portarlo sulla tomba dei due martiri e, mirabilmente, accorgersi che il giovane si era liberato dei propri spettri. Ora la Basilica, parzialmente ricostruita dopo le distruzioni dei Visigoti e dei Normanni, risuona spesso delle note del suo organo a ventidue canne. E getta l'ombra del campanile sul viavai dal cancello che ha di fronte. L'ingresso degli studi di Mediaset che qui confeziona il Tg5 di Clemente Mimun. Saldando passato e presente, leggende e miracoli con il flusso continuo dell'informazione rilanciata da tutto il mondo con decine di schermi.

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