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di Lidia Lombardi Gli aranci portano ancora i frutti ma già occhieggia il bianco del mirto e delle margherite.

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Comein una prova d'orchestra dalle vetrate sul giardino arrivano suoni sovrapposti di pianoforti. Là un ritmo grave e lento, qua rapidi trilli. Nell'aula Palatino gli allievi provano il Don Chisciotte di Gorskij e Petipa. Le giovani volteggiano un piccolo ventaglio, i partner vibrano nello sforzo dei muscoli controllati dall'esercizio. Sullo sfondo, dietro la vetrata a parete, Circo Massimo e Palatino coi respighiani pini di Roma ripagano concentrazione e sudore. Pulsa di musica e corpi modellati da disciplinata giovinezza l'Accademia Nazionale di Danza, il piccolo regno della coreutica sull'Aventino, nato negli anni Quaranta e che ora unisce il Liceo Coreutico del Convitto Nazionale e i corsi accademici che vangono come una laurea. Un posto antico quanto l'impero romano. Vi «regna» Margherita Parrilla, già prima ballerina dell'Opera di Roma, che dirige l'Accademia dal 1999, allorché divenne Istituto di Alta Cultura. È nella zona più alta dell'Aventino, che doveva ospitare nell'antichità villa e complesso termale. Nel Settecento i cartografi lo censirono come Castello d'Acqua, proprio per le piscine romane. Divenne, nell'Ottocento e fino agli anni Trenta del Novecento, qui dove la Capitale era solo prati e orti, un ristorante fori porta, chiamato «Castello dei Cesari». Ma quando l'iperattivismo urbanistico di Mussolini ridisegnò la zona aprendo le grandi arterie di Viale Aventino e via del Circo Massimo e poi la direttrice sulla Colombo, il ristorante spense le cucine e il proprietario regalò al Duce l'antico manufatto e i tremila metri quadrati intorno. Il buon Benito la destinò, con propagandistico gesto, alla Gioventù Balilla. E l'architetto razionalista Minnucci disegnò a incastro i bassi padiglioni che negli anni Quaranta sarebbero diventati Reale Accademia di Danza. Respiro internazionale, nella scuola. La fondò e diresse Jia Ruskaja, mitica étoile fuggita bambina col padre dalla Russia di Lenin, trapiantata a Roma, diventata moglie di Aldo Borrelli, direttore del «Corriere della Sera». C'è un bronzo che ritrae l'affilato viso di madame Ruskaja, nell'atrio dell'Accademia. La danzatrice è il nume tutelare di questo posto. Abitava in un villino all'interno del giardino, poi donato alla scuola e da due anni riallestito come biblioteca specialistica sull'arte di Tersicore. Nei corridoi foto di altre grandi sulle punte, fino all'ingresso del Teatro Ruskaja, dove campeggia l'immagine della direttrice onoraria, Pina Bausch. Palco di legno e platea con poltrone rosse riservano una sorpresa archeologica. Le copre una pesante volta imperiale: perché questa era una cisterna delle terme e la struttura è rimasta intatta. I resti di venti secoli fa si mischiano a segni artistici del Novecento. Nell'aula dell'Affresco altri allievi, altre scarpette rosa. Si fa lezione sullo sfondo di un muro dipinto a tempera da Corrado Cagli. È «La corsa dei berberi». La foga dei cavalli replica l'acerbo entusiasmo dei corpi in movimento dei ragazzi.

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