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Quando Dalì corteggiava la Magnani

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Voleva farle fare un film dove lei s'innamorava di una carriola In mostra immagini inedite sulla grande amicizia con Fellini

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L'ampiae bellissima mostra che il Complesso del Vittoriano dedica da oggi a Salvador Dalì fin dall'ingresso fa immergere il visitatore nel suo mondo delirante, grottesco, visionario, ironico. Una sfilata di grandi foto scattate da Philippe Halsman ci fiancheggiano col volto irridente e magnetico del genio catalano, in mille buffe pose che ci introducono al suo ego smisurato. E poi ci si trova nel bel mezzo di un ambiente buio da cui emerge all'improvviso una sventagliata di video in cui sempre lui parla e straparla, profetizza, indottrina il mondo, si traveste, scherza con la serietà più rituale. Ecco, siamo entrati nel mondo di Dalì. Da qui in avanti quadri, disegni, documenti, fotografie, lettere, oggetti, danno vita ad una mostra polifonica, che riesce ad essere al tempo stesso scientificamente rigorosa eppur spettacolare, grazie all'impegno delle curatrici Montse Aguer e Lea Mattarella. Il grande lavoro di Alessandro Nicosia, Presidente di Comunicare Organizzando che ha diretto e coordinato la mostra aperta fino al 1 luglio, ha puntato sulla collaborazione vincente con la Fundaciò Gala-Salvador Dalì di Figueres e ha spazzato via le tante brutte rassegne di multipli che per alcuni anni hanno umiliato il nome di Dalì nella nostra città. Dopo quasi sessant'anni dall'ultima retrospettiva romana, questa mostra si concentra sul rapporto per molti aspetti straordinario che ha legato il geniale surrealista all'Italia. Ecco il filo rosso che lega tutte le sezioni dell'esposizione e che propone anche la prima ricostruzione filologica di questo dialogo col nostro Paese. «Forse un giorno – scrisse Dalì – sarò considerato, senza essermelo prefisso, il Raffaello della mia epoca». Ma, a dir la verità, per tutta la vita l'artista aveva sognato di diventare come il genio urbinate e ce lo dimostra subito il giovanile «Autoritratto con il collo di Raffaello» del 1921, in cui l'eccentrico catalano cerca un'identificazione completa col pittore rinascimentale. E ce lo conferma anche la stravagante pagella in cui lo stesso Dalì dà i voti sullo stile, sull'invenzione, sul disegno, ecc., a molti grandi artisti del passato inserendo anche se stesso (un po' deboluccio nel colore, si giudica, ma sublime per «mistero»): i più bravi della classe risultano Vermeer e Raffaello, mentre il povero Mondrian si becca tanti zero. Comunque la passione di Dalì per il nostro Rinascimento, instillatagli da Gala, la sua potentissima Musa e compagna, non si ferma a Raffaello ma abbraccia, tra i tanti, Piero della Francesca, come si vede nella bellissima prima versione della «Madonna di Port Lligat» (1949), e Michelangelo, con le opere ispirate alla Pietà vaticana e al Giorno e la Notte delle Cappelle Medicee a Firenze. Ma poiché per ogni vero artista la dimensione della creazione va al di là del tempo, Dalì dialoga anche con la scultura antica, come si vede nella «Dematerializzazione vicino al naso di Nerone» (1947) eccezionalmente esposta accanto al busto col «Ritratto di Nerone» del Museo della Civiltà Romana. La storia del rapporto fra il geniale surrealista e l'Italia era cominciata nel 1935, quando l'esplosiva coppia Dalì-Gala fu invitata nella mitica Villa Cimbrone di Ravello da Edward James, poeta e collezionista inglese. E da qui in avanti questo dialogo si farà sempre più stretto. Tre anni dopo, nel 1938, approderanno a Roma, nella casa con vista sul Foro Romano di lord Gerald Berners, dove Dalì dipinse «Impressioni d'Africa», anch'essa in mostra, e in cui si riflettono pure le intense emozioni provate dall'artista durante un viaggio in Sicilia. Al di là delle opere, e ce ne sono di sublimi (dal «Ritratto di mia sorella» del '25 con il suo realismo onirico all'«Angelus architettonico di Millet» con la sua geologia delirante, dall'«Autoritratto molle con pancetta fritta» all'impressionante miniatura dello «Spettro del sex appeal»), il personaggio Dalì è ritratto nel suo metamorfismo teatrale da una miriade di oggetti, foto e documenti che ci conducono nel tunnel del suo talentuoso delirio creativo. Come dimenticare la performance all'inaugurazione della sua mostra a Palazzo Rospigliosi, nel 1954? Eccolo, Salvador, morire simbolicamente per poi rinascere in un cubo metafisico portato in giro per la città da uomini incappucciati e da cui l'artista esce fuori magicamente durante la conferenza stampa. E come non restare sedotti dal suo sodalizio con Luchino Visconti, per la messa in scena di «Rosalinda o come vi piace» di Shakespeare al Teatro Eliseo, nel 1948, di cui sono esposti alcuni abiti? E poi ecco comparire Federico Fellini, che nel suo «Libro dei sogni» ne dedica uno proprio al pittore spagnolo, senza dimenticare che Gala gli aveva proposto di fare un film su Dalì poi non andato in porto. Strepitosa la foto con Anna Magnani con cui l'artista spagnolo sognava di realizzare un improbabile film intitolato «La carretila de carne», «la vera storia di una donna paranoica innamorata di una carriola». In mostra ci sono anche un paio di mirabolanti costumi realizzati da Christian Dior e disegnati da Dalì per il fastoso Ballo di Carnevale organizzato nel veneziano Palazzo Labia, nel 1951. E poi, con un continuo tourbillon di sorprese, ecco il leggendario «Divano-labbra di Mae West» (1936) oppure le foto di Dalì che visita i giardini di Bomarzo e rimane stregato dai Mostri inserendoli nelle sue opere. Senza dimenticare la vera Vespa della Piaggio da lui firmata e ribattezzata Dulcinea. Infine, una sezione è dedicata alla sua attività pubblicitaria, con le bottiglie realizzate per il liquore Rosso Antico. Ovunque, nella mostra, dopo quello di Dalì, si avverte il carisma di Gala, onnipresente ed ammaliante. Tanto è vero che nel 1949 l'artista chiese ed ottenne udienza da Papa Pio XII soprattutto con lo scopo di avere l'autorizzazione per sposare Gala in Chiesa, «una cosa difficile – ha scritto Dalì – perché il suo primo marito, Paul Eluard, era, per la felicità di tutti, ancora in vita». Roba da pazzi, anzi da Dalì.

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