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«M'insegnò ad ascoltare il canto degli uccelli»

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Abatantuono Il divo fece conoscere i brani di Lucio al regista Salvatores che li mise in un suo film

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DiegoAbatantuono per la commozione e il pudore fatica a ricordare Lucio Dalla. Eppure, a mano a mano, di aneddoti tra loro ne tira fuori tanti. Abatantuono, qual è stato il suo legame con Dalla? «Non mi piace parlare degli amici che se ne vanno e poi far parte di quella schiera di persone che quando un artista muore escono fuori a ricordare cose improbabili su di lui. Sembra che improvvisamente tutti ora sappiano tutto di Lucio, persino i più reconditi pensieri. Io di cose belle con lui ne ho vissute tante, ma certe non le racconterei mai. Soprattutto così, a caldo». Cosa le manca, in particolare, di lui? «Quando se n'è andato ho coniato una frase per lui: "Sentendo la sua musica sento la sua mancanza". Lucio come i grandi attori non passerà mai, ogni volta che si ascolta una sua canzone riaffiora il suo ricordo». C'è stato un giorno indimenticabile che avete trascorso insieme? «Ce ne sono stati tanti. Ma una volta ricordo che dovevo fare un lavoro insieme con lui alle Tremiti, dove Lucio ha una casa. Poi quel progetto saltò e allora lui mi portò di notte sulla sua barca in giro per le grotte. Me ne fece scoprire una in particolare dove gli uccelli cantavano nel silenzio notturno: è stato un momento magico di grande gioia e allegria. Lucio era estasiato nell'ascoltare quel canto. E io, che pure ho trascorso la mia infanzia sul Gargano, a Vieste dove è nato mio padre, non avevo mai visto nulla del genere». Vi frequentavate anche a Bologna? «Sì, eravamo abbastanza vicini di casa. Pur essendo milanese, ho sempre amato molto Bologna: fin dagli anni '70 ci andavo per lavorare in un cabaret e poi ci sono andato proprio a vivere alla fine degli anni '90. Avevamo tanti amici in comune, come Stefano Bonaga e Pupi Avati. La sua casa era quasi un museo, ricca di bellissimi quadri. Lucio amava l'arte, il bello, il suo era un godimento degli occhi e delle orecchie. Mi dispiace avergli detto no quando m'invitò al suo programma in tv, poi ci andò la Ferilli, ma io ero troppo legato al cinema per fare televisione in quel momento». Cosa ha reso grande la musica di Dalla? «Lui, Paoli, De Gregori, Fossati, Venditti, Conte, Daniele, De Andrè, è stata una generazioni di cantautori italiani irripetibili. Sono stati l'equivalente di Sordi, Gassman, Tognazzi e Manfredi per il cinema. Mi ricordo che una volta con Salvatores abbiamo fatto un lungo viaggio per i sopralluoghi di "Marrakech Express" e mi ero portato una cassetta di canzoni di Dalla: Salvatores, pur avendo una ricca cultura musicale, non era un grande conoscitore dei cantautori. Ma quando ascoltò Dalla, volle le sue musiche nel film. Quello fu il mio piccolo omaggio a Lucio». Quale dei suoi brani la emoziona di più? «Tutti, da "Com'è profondo il mare" a "Futura" con i russi gli americani. Da quando avevo 20 anni assorbo tutte le sue note: era l'epoca di Lucio, ma non è mai finita e me la sono sciroppata. Mi rimarrà sempre dentro». Gli piaceva fare il direttore d'orchestra? «Sì, credo di sì. Ho inciso una mia canzone, un'ulteriore versione di "Ecceziunale" nella sua sala d'incisione e lui la musica la esprimeva in tutte le declinazioni».

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