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di Aldo Giovanni Ricci Un altro De Gasperi? La leadership che manca all'Italia.

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Uninterrogativo e un tema di indubbia attualità che intrecciano un ripensamento dell'opera politica dello statista, la crisi dell'Italia in questi mesi, e una riflessione sul ruolo della politica nei passaggi cruciali della vita di un Paese. Nelle situazioni drammatiche il grande politico è solo di fronte alle scelte decisive e se le rifugge non è un leader degno di questo nome. La politica, Machiavelli insegna, è, a suo modo, un'arte creativa, capace di rappresentare un fattore in più rispetto a quelli, oggettivi, schierati in campo. Si pensi, tanto per ricollegarci al dibattuto anniversario del 150°, al 1859 e al ruolo di Cavour nel portare la riluttante Francia a battersi accanto al Piemonte contro l'Austria per l'indipendenza italiana: un «miracolo» della politica. Si pensi, per venire al nostro tema, al ruolo di De Gasperi nell'arrestare la crisi economica e politica italiana nel 1947, portando i partiti democratici alla vittoria del 1948 e l'Italia a inserirsi nel sistema occidentale. Sono solo due esempi del ruolo determinante della leadership politica nei momenti difficili. Due esempi che ci dicono quanto questa sia mancata nella recente crisi italiana. Una crisi che ha coinvolto la politica nel suo complesso, la maggioranza non governando e l'opposizione non esprimendo alternative credibili. Qual è la caratteristica della leadership degasperiana che induce ad auspicarne una versione attuale? Risponderei: aver saputo tenere fermo il timone di governo nella tempesta del dopoguerra, evitando i molti scogli su cui avrebbe potuto infrangersi la fragile barca nazionale, ma conservando allo stesso tempo la capacità di guardare avanti, prefigurando il futuro dell'Italia in Europa e nel blocco occidentale. De Gasperi ha guidato il Paese negli anni più difficili della sua storia unitaria. Il suo ruolo si rivelò determinante nell'adottare la via referendaria per uscire dalle contraddizioni che rendevano difficile la scelta tra monarchia e repubblica. I lavori dell'Assemblea Costituente furono da lui seguiti con attenzione, conservando l'alleanza con le sinistre in nome della necessità di firmare il Trattato di pace e approvare la Costituzione. Interamente a suo merito va il successo del famoso viaggio negli Stati Uniti, all'inizio del 1947, dove vennero varati quegli aiuti senza i quali l'Italia avrebbe rischiato il fallimento e poste le basi delle future alleanze. Altrettanto e forse più deve dirsi per la svolta della primavera del 1947, quando decise di rompere l'alleanza con le sinistre, che portavano avanti la politica del doppio binario (al governo e in piazza), spingendo il Paese al tracollo finanziario. In quel momento non era ancora maturata la svolta della politica americana, con la rottura con l'URSS e la decisione di impegnarsi nella difesa economica e militare dell'Europa. Da vero leader, De Gasperi scelse quindi da solo la strada della rottura con le sinistre e di un difficile risanamento economico, affidato a Einaudi, assumendosi tutti i rischi che avrebbe potuto comportare un eventuale fallimento. In quelle condizioni si crearono le premesse per la grande vittoria del 1948, quando la DC conquistò la maggioranza assoluta dei voti, evitando all'Italia il rischio di una deriva verso il blocco sovietico. La scelta in favore del nuovo sistema di alleanze promosso dagli Stati Uniti (la NATO) fu un'altra delle scommesse vinte da De Gasperi, che dovette superare per questo molte resistenze anche all'interno della stessa DC. Ma la sua politica non fu solo di difesa della democrazia dai pericoli esterni. Fu anche impegno per lo sviluppo e la modernizzazione, nella convinzione che solo questi cambiamenti avrebbero rappresentato le fondamenta più solide della rinata democrazia. Quindi le grandi riforme della prima legislatura: dalla politica per la casa alla riforma agraria, dalla Cassa per il Mezzogiorno alla riforma fiscale, al rafforzamento dell'intervento pubblico nell'economia (ENI, IRI ecc.); ma anche le battaglie perdute per un'Europa politica e per una riforma elettorale con premio di maggioranza, bollata allora dagli avversari come «legge truffa», ma rimpianta in seguito come un'occasione perduta per la stabilità politica. Uscendo di scena alla metà degli anni Cinquanta, De Gasperi, uomo di Stato prima che uomo di partito, consegnava ai suoi successori un Paese fuori dalla crisi, lasciando un esempio ancora attuale di quella capacità di sintesi tra progetto strategico e mediazione tattica che è una caratteristica della politica nelle sue espressioni più elevate, quando la politica, come ha ricordato Benedetto XVI parlando di lui, non prescinde dalla dimensione etica, intesa in primo luogo come impegno per il bene comune. Senza politica, lo sappiamo, non ci può essere democrazia, e De Gasperi è stato sempre un acceso difensore della sua autonomia. Ma dalla crisi di questi mesi la politica esce nuda, priva di prospettive e a molti appare quasi inutile, così come appaiono inadeguati e privi di credibilità i partiti che la gestiscono. Per questo riflettere oggi sull'eredità politica degasperiana rappresenta un atto politico e non semplicemente un esercizio di studio. Nel 1947, De Gasperi seppe portarci fuori da uno scenario di macerie e pericoli, ma il nostro scenario, per gravità, non è molto differente.

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