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Quel militare svevo che detestava il duce

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Saggio Lo storico De Risio svela risvolti inediti sulla guerra d'Africa, Rommel e l'Afrika Korps

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Forse,ma solo qualche volta, lo faceva con Claretta Petacci come nella notte del 24 giugno 1942, al telefono, tre giorni dopo la battaglia di Ain el-Gazala, il massimo successo dell'Asse in Africa. Successo delle truppe tedesche, guidate da Erwin Rommel, che oscurava la presenza italiana. Quella telefonata il Servizio Speciale Riservato del Ministeri degli Interni la registrò, come sempre. Mussolini, dopo aver salutato Claretta chiamandola «amore mio» le rivela che sta per recarsi in Africa. Claretta gli dice che è troppo pericoloso. Mussolini risponde che deve essere presente, per scongiurare il pericolo che Rommel e i tedeschi rubino la scena a lui e agli italiani. Andrà in Libia pilotando personalmente il suo aereo e in tenuta coloniale kaki, con bustina e gradi di Primo Maresciallo dell'Impero. Mussolini rimarrà in Africa tre settimane, da Comandante in Capo delle Forze armate. Ma Rommel, la Volpe del deserto, si rifiutò di andare a stringergli la mano, anche solo di vederlo. Parlare di scortesia è eufemismo: da parte del feldmaresciallo fu una dimostrazione plateale di disprezzo. E per Mussolini un'umiliazione. Questo, e molto altro, è nel saggio dello storico Carlo De Risio: «Le sabbie di El Alamein», edito da Libreria Militare Ares, 255 pagine, 25 euro. Un libro documentatissimo e complesso che illumina una fase della storia recente d'Italia, dell'Europa e del Mediterraneo, piena di dubbi e misteri. Come sul perché Erwin Johannes Eugen Rommel, der Wüstenfuchs, la Volpe del deserto, comandante dell'Afrika Korps, ad un certo punto fermò la sua avanzata. Questo mistero De Risio lo svela, anzi, questa è la parte centrale del saggio: l'Afrika Korps, il corpo di spedizione tedesco, nonostante le leggende, non attraversò il Mediterraneo con scopi di conquista. No, Rommel volò in Africa con l'obiettivo di tenere sotto controllo un fronte fondamentale della Seconda Guerra mondiale che, lasciato ai soli italiani, rischiava di creare una falla nell'Asse. Questo Rommel lo sapeva, come sapeva che Hitler non gli avrebbe inviato un carro armato in più oltre a quelli che aveva. Carlo De Risio ne «Le sabbie di El Alamein», documenti alla mano, analizza la prima fase della Seconda Guerra mondiale descrivendo errori e passi falsi delle nostre forze armate che, troppe volte, andavano avanti a tentoni, iniziando imprese che non avevano l'energia per portare a termine. L'Italia, spinta da Mussolini, commise alcuni macroscopici errori di valutazione (come quello sull'importanza strategica dell'isola di Malta), che portarono a commisurati grandi errori di strategia. Il libro si sofferma anche su alcune riflessioni che, solo col senno del poi, possono essere comprese appieno. Sulle sabbie dell'Africa si scontrarono gli eserciti europei. Il mistero più grande (e questo resta tale) è che il risultato di tante cruente battaglie portò, in brevissimi anni, ad una situazione politica che escludeva gli italiani e i tedeschi quanto gli inglesi dalle vicende di quelle terre. In questo libro, tra operazioni militari italiane condotte da soldati coraggiosi, che però non furono adeguatamente sfruttate, e la totale fiducia dei fascisti nella macchina bellica nazista, emerge la figura di Rommel. Di quel militare si intuisce la testardaggine e l'avversione al fascismo. Poco tempo dopo sarà chiara anche quella per Hitler e per il nazismo, che gli costerà la vita. Rommel era svevo. Se il nazismo fu un fenomeno in buona parte bavarese, l'antinazismo (perché ci fu e fortissimo) fu un fenomeno svevo. Quella regione, oltre all'imperatore Stupor Mundi, ha dato i natali a Sophie Scholl e a Claus von Stauffenberg. E tutti pagarono con la vita le loro idee.

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