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Cari disertori, il talk-show resiste

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Casini e Bersani vogliono evitare i salotti. Dibattiti al tramonto? Eppure Vespa, Floris, Mentana & Co. godono di ottima salute

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PierFerdinando Casini, leader dell'Udc, ha annunciato di non voler più andare «in trasmissioni costruite per delegittimare la politica», chiacchiericci da pollaio dove gli ospiti sembrano tutti uguali. Anche Pier Luigi Bersani, leader del Partito democratico, pare stia meditando di non prender più parte ai talk show d'informazione. Insomma, una vera epidemia che pone una domanda: stiamo davvero assistendo al tramonto del talk show, come genere di rappresentazione dei dibattiti su una parte della realtà che ci circonda? Difficile dirlo, di sicuro però il funerale del genere è stato decretato con troppo anticipo da alcuni leader ed opinionisti che hanno le loro certezze, come quella che «è sicuro che il professore Mario Monti non andrà a cucinare il risotto da Bruno Vespa». Sarà certamente così, ma noi la questione la vediamo un po' diversamente; del risotto e del presidente del Consiglio Monti non possiamo dire, non avendo virtù previsionali, ma sul talk show come rappresentazione della politica abbiamo una certezza: potrà mutare la propria messa in scena ma sarà vivo e lotterà insieme a noi ancora per parecchio tempo. Sì, perché in un Paese come il nostro dove i giornali sono poco letti, i libri ancora meno, la televisione - con tutti i suoi effetti collaterali - ed i nuovi media sono la forma di racconto della politica che la gente, e scriviamo gente volutamente, si porta dentro. L'immaginario, i momenti salienti, i leader, le gaffe e le grandi vittorie hanno un'iconografia che è soprattutto racconto televisivo: dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi passando per la sua sconfitta, giù giù, sino alla contestazione della scorsa settimana quando l'auto del Cavaliere, presidente dimissionario, è arrivata al Quirinale. Anche per questo parlare di fine del talk show, tra l'altro nel momento dei suoi massimi ascolti come genere sulla televisione in chiaro, non c'azzecca molto. Ballarò di Giovanni Floris sta vivendo una stagione ottima, La7 con il Tg di Enrico Mentana ed un palinsesto incentrato soprattutto sul talk va a meraviglia, Bruno Vespa ed il suo Porta a Porta ci sono, Michele Santoro fa ascolti su una multipiattaforma di tv locali, web e satellite. Insomma, il talk si muove. Saranno anche dei pollai, ma hanno pubblico. E poi, diciamolo chiaro, non è tanto il genere a fare il pollaio ma i protagonisti: se la politica non riesce ad evitare il ridicolo durante i talk e finisce ingabbiata tra contradditori infiniti, conduttori messianici e piazze che la incalzano, il genere avrà i suoi difetti ma pure la politica non scherza. Entrambi, infatti, il talk e la politica vivono di parole ma mentre il primo ha il suo esaminatore nel pubblico che ne decreta il successo, la seconda per ottenere il favore del pubblico deve trasformare quelle parole in realtà. Per questo, più che smettere di andare nei talk show i nostri politici dovrebbero aver ben presente un'altra cosa: la politica non si esaurisce nel talk ma semmai lo utilizza come cassa di risonanza per le cose che vuole realizzare. In un paese che abbia ben presente il senso del Potere questa distinzione di fini dovrebbe essere inconscia e netta. Non è stato così, almeno negli ultimi decenni dove la politica si è identificata, spesso, con la comunicazione (in tv e non), una rappresentazione da commedia, con facce scelte per la loro funzionalità mediatica, senza altro di più. Se c'è un contrappasso, in fondo, tra la politica ed il governo dei tecnici che guida oggi l'Italia è proprio questo; arrivano i tecnici per fare riforme che la politica non ha fatto ma di cui ha molto parlato, soprattutto in tv. Non sappiamo se anche i nuovi ministri si faranno attrarre dai talk oppure no: di certo, però, il pubblico che così poco sa dei tecnici e delle loro opere (non essendo questi volti noti e televisivi) vorrà saperne, a mano a mano che le leggi verranno approvate e le riforme diventeranno realtà. Per questo l'Italia ha ancora bisogno dei talk show, fatti male, viziati, imperfetti, magari pieni del protagonismo dei loro conduttori, ma aperti sul mondo. Su una porzione di mondo. Visti i tempi, diciamo la verità, la televisione delle coccole proprio non funzionerebbe. Non è il suo tempo, perché come diceva una signora romana, la settimana scorsa, al mercato del Trionfale, mentre comprava la verdura per i suoi pasti quotidiani, «mi piacerebbe che gli facessero qualche domanda in televisione a questo spread». Anche per questo il talk show è vivo e lotta (ancora) insieme a noi.

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