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L'alba del latino è scolpita sulla spilla

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Parliamodi Wolfgang Helbig, l'archeologo tedesco che nel 1887 scoprì nella Tomba Bernardini a Palestrina la Fibula Praenestina, una spilla d'oro lunga poco più di dieci centimetri che veniva usata per fermare le vesti. La comunità scientifica ha riconosciuto che su quella spilla c'è la più antica iscrizione in latino a noi nota. Sulla Fibula c'è scritto «Manios med fhefhaked Numasioi» che corrisponde al latino classico «Manius me fecit Numerio», «Manio mi fece per Numerio». Secondo gli studi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, la spilla d'oro conservata al Museo Pigorini di Roma non è un falso: risale effettivamente al VII secolo avanti Cristo e la sua arcaica iscrizione è autentica. A giurarlo sono Daniela Ferro, dell'Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del CNR ed Edilberto Formigli, restauratore con incarichi di insegnamento all'Università La Sapienza. Per Helbig si tratta di una rivincita postuma, ma pur sempre una rivincita. Nel corso dei decenni contro l'autenticità dell'iscrizione si sono scagliati fior fior di specialisti. Non ultima la cattolicissima Margherita Guarducci che, nel '79, sostenne che la Fibula era un falso e attribuì l'iscrizione allo stesso Helbig. La Guarducci era in ottima compagnia. D'accordo con lei anche l'epigrafista Luigi Moretti, padre del regista Nanni. Ora, a trent'anni dallo studio che ne mise clamorosamente in discussione l'autenticità, la Fibula Praenestina rinasce a nuova vita e viene sdoganata ufficialmente. Altro che falso. Altro che iscrizione-bufala scolpita nottetempo dal vecchio archeologo di Dresda. Che magari sognava di diventare un novello Schliemann. Gli esperti del Cnr non hanno dubbi. «È improbabile - spiega Daniela Ferro - che un falsario ricostruisse questi dettagli senza una conoscenza delle procedure dell'oreficeria antica che, tra l'altro, non avrebbero potuto essere rilevate se non con sofisticate strumentazioni tecnologiche disponibili solo ai nostri giorni». Per giungere a queste conclusioni, gli studiosi hanno utilizzato un microscopio elettronico a scansione e una microsonda elettronica. Prima di scrivere la parola fine sulla vicenda, però, andiamoci cauti. Certo, per il momento Helbig può dormire sonni tranquilli. Almeno per i prossimi trent'anni.

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