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Fu sconfitto sui campi di battaglia, vinse la sfida con la Storia

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Sonoun paio di secoli che gli intellettuali si misurano con la figura del Bonaparte, imperatore dei francesi, passato per massimo genio militare della Storia, ma poi finito sconfitto da militari, tutto sommato, meno famosi di lui. Proprio da questo parte Valzania per la riflessione su Napoleone e la sua epoca. Il generale, militare raffinato, fu quasi un «veggente» quando si trattava di capire le mosse del nemico. Ma allora perché perse con il non brillante Wellington la battaglia della sua vita: Waterloo? La risposta di Valzania è ammaliante: perché Napoleone era un uomo appassionato, di cuore e fantasia, non un cuore di sasso come quelli che aveva di fronte. Insomma per vincere le battaglie di fantasia bisogna averne poca e di stomaco molto. Stomaco per mandare i propri soldati e morire, stomaco per individuare il punto più debole del nemico e andare lì a macellare quei poveri figli di mamma. Wellington era perfetto per il compito. Napoleone no, non era più un militare tutto d'un pezzo, se mai lo era stato. Napoleone Bonaparte, generale corso, figlio della rivoluzione e dell'illuminismo, uomo rapido di mente e con il cuore palpitante era un sognatore: uno che, al di là dei campi di battaglia, voleva cambiare il mondo, chissà, per farne un posto migliore. Il Napoleone che emerge da questo libretto elegante e agile, come sempre sono i volumi della Sellerio, è inedito ed affascinante. Valzania, classe 1951 e un bel numero di pubblicazioni alle spalle (tra i quali un interessante «Austerlitz»), imposta il discorso su Napoleone in modo ortodosso, ma poi lo avvia su strade poco percorse. Napoleone si «studia» partendo dai momenti cruciali della sua vita, cioè dalle battaglie. La campagna d'Egitto, Marengo, Trafalgar. Valzania è impietoso: ci svela che nel 1799 il Primo Console non attraversò il San Bernardo avvolto nel mantello dorato su uno splendido cavallo bianco, così come lo dipinse Jacques-Louis David, nell'immagine napoleonica, probabilmente più conosciuta. Macché, il Bonaparte seguì le orme di Annibale su un poco trionfale (ma molto affidabile) mulo. Insomma in quell'impresa ci fu un po' di calcolo, molta fantasie e anche una bella dose di fortuna. Non parliamo della battaglia di Abukir, a un «tiro di schioppo» dal porto di Alessandria. A Nelson non parve vero di trovare le pesanti navi francesi tutte belle allineate con un varco grande come una voragine proprio sul fianco lasciato con i cannoni scarichi. Insomma i francesi furono ingenui e impreparati. Ma allora in che fu grande Napoleone? La risposta che suggerisce Valzania, in un susseguirsi serrato di capitoli ed eventi è particolare e inedita: Napoleone perse diverse battaglie. Ed alcune anche malamente. Ma alla fine vinse la sfida con la Storia. Quella che si trovò di fronte come nemica la Francia, fresca di rivoluzione, non fu una nazione «del passato». L'Inghilterra dell'ultimo Settecento, il Paese più monarchico della storia, si era messa in moto per una rivoluzione ancor più profonda di quella francese: la rivoluzione industriale. Napoleone non fu un militare che combatteva contro altri militari, ma il figlio della Rivoluzione Francese che guidava l'era dei lumi contro una nazione monolitica che aveva come unico obiettivo quello di produrre sempre più navi, sempre più fucili, sempre più cannoni. Valzania dedica il capitolo più appassionato all'esilio di Sant'Elena. Gli inglesi si rifiutarono sempre di riconoscere a Bonaparte il titolo di imperatore: lo chiamavano «Boney», diminutivo di Bonaparte. Ma quello che tennero in esilio non fu mai un uomo sconfitto.

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