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di FRANCO CARDINI Qualcuno dice che, in una situazione araba ingarbugliata come quella d'oggi, "ci vorrebbe un altro Lawrence d'Arabia".

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Qualcunoanche italiano. Scrittori e studiosi come Salvatore Bono, Sergio Romano e Vittorio Dan Segre hanno scritto la storia di qualcuno di loro. Dovremo pur occuparci, quest'anno, del centenario della guerra italo-turca per il controllo di Tripolitania e Cirenaica, quella che noi chiamiamo "guerra di Libia", combattuta appunto tra 1911 e 1912 ("corsi e ricorsi"?). Ma chi era davvero il leggendario "colonnello Lawrence", miticamente interpretato da Peter O' Toole nel film di David Lean del 1962 (un film che ha quasi cinquant'anni, ma li porta benissimo)? Per rispondere bisogna tornare al 1914 allorché il 2 novembre la Russia czarista, da sempre decisa a rompere la "gabbia" degli Stretti che dal Mar Nero le chiudevano l'accesso al Mediterraneo, dopo esser stata la causa prima - con l'appoggio fornito all'irredentismo e al terrorismo serbi - della Prima Guerra mondiale, la complicò e la prolungò attaccando la Turchia e spingendola ad entrare nel conflitto al fianco degli Imperi Centrali. Fu quello, davvero, l'inizio della nostra rovina: e dei mali che ancor oggi ci tiriamo dietro. L'impero ottomano (che disinvoltamente ma impropriamente noi chiamiamo "la Turchia") era sì un Uomo Malato, un Gigante Ferito, ma dominava ancora un'area che dalla Tracia giungeva all'Armenia e all'Arabia e nominalmente almeno anche a parte dell'Africa settentrionale. Francesi e inglesi, che già aspettavano lo smembrarsi dell'impero per impadronirsi del mondo arabo dalla Siria all'Egitto e spartirselo, pensarono fosse arrivato con la guerra il momento buono. Ma la guerra sarebbe stata lunga e dura. E c'era anche uno scoglio religioso. Il sultano d'Istanbul era anche da mezzo secolo stato riconosciuto dai musulmani sunniti come califfo, cioè vicario e successore del Profeta. Era una funzione quasi esclusivamente simbolica, ma di grande prestigio. Come fare per rompere il legame che in questo modo si era istituito fra il sovrano ottomano e gli arabi? Forse, una possibilità c'era. Fin dall'Ottocento l'influsso inglese e francese, specie sulle borghesie arabe colte che mandavano i loro figli a studiare in Europa, aveva determinato il nascere d'idee nuove. Una di esse era legata a una nuova parola, che nemmeno esisteva nell'arabo classico: watan, patria. Gli arabi avevano così cominciato a pensare che non esisteva soltanto l'umma, la comunità che univa tutti i musulmani, ma anche un tipo di comunità di genere diverso, legata al suolo che si abitava e alla lingua che si parlava. E ogni patria, connessa quindi a una nazione, aveva diritto alla libertà e alla sovranità. Alla luce di questa nuova idea, il Turco diventava per gli arabi il nemico da cacciare. Ma per convincere il mondo arabo occorreva una forte autorità da esso riconosciuta che accettasse d'impugnare questa bandiera. La si individuò nel capo della tribù hashemita, lo sharif ("nobile") Hussein, custode dei Luoghi Santi della Mecca. Fu lui a chiamare nel 1916 gli arabi alla "rivolta del deserto". Se fosse riuscita, gli alleati gli promettevano di diventare il re di una "Grande Arabia" dall'Oronte al Tigri al golfo di Aden al Sinai. Mentre le truppe britanniche del generale Allenby dalle loro basi egiziane penetravano in Palestina, l'Intelligence Service inviava fra le tribù arabe del deserto, riottose e in continua lotta tra loro, un giovane agente gallese, Thomas Edward Lawrence. Nato nel 1888 e quindi non ancora trentenne, ex-studente di Oxford, Lawrence parlava correntemente l'arabo ed aveva visitato a lungo tutta l'area tra Oronte e Giordano per una sua tesi di laurea sui castelli crociati, pubblicata postuma. Entrò in contatto con le tribù e con i loro sceicchi, si conquistò la loro fiducia, rivelò anche un'insospettata abilità tattico-strategica, riuscì a guidare la conquista della città di Aqaba chiave settentrionale del Mar Rosso. Ma il tempo lavorava contro di lui. Alle spalle sue e del mondo arabo, inglesi e francesi avevano deciso che, battuta la Turchia, la Grande Arabia non s'aveva da fare. Si era già avviata la corsa al petrolio, e Hussein si stava rivelando troppo occidentale e troppo liberale. Lo sharif sognava un regno unito e parlamentare all'inglese, con una "camera dei lords" composta dagli sceicchi (come gli inglesi avevano fatto in india con i raja e i maharaja), ma soprattutto sapeva abbastanza delle nascenti questioni petrolifere per capire che gli stranieri alleati non potevano pretendere di sfruttare il suolo arabo in cambio di modeste royalties. Inglesi e francesi decisero allora che alla fine della guerra il suolo arabo sarebbe stato spartito tra loro e che Hussein non sarebbe mai stato re (in cambio i suoi due figli, Feisal e Abdullah, avrebbero ricevuto due piccoli regni rispettivamente in Iraq e in Transgiordania). Tutto ciò venne formalizzato in un patto noto come Sikes-Picot, dai due diplomatici che lo siglarono. Ma il diavolo insegna a far le pentole, non però i coperchi. Venne in Russia la Rivoluzione d'Ottobre, e il nuovo governo sovietico - erede dei segreti diplomatici dello czar - rivelò al mondo di che pelosa pasta fosse la "liberazione" che francesi e inglesi avevano promesso agli arabi. Era troppo tardi per tornar indietro. Scartato Hussein, gli inglesi offrirono il regno arabo alla tribù wahhabita dei sauditi (portatrice di un Islam "eretico" e retrivo) il regno d'Arabia. I sauditi erano brutti e cattivi, tagliavano le mani ai ladri e lapidavano le donne, ma si accontentavano di modeste royalties. Se Sua maestà britannica avesse scelto Hussein, oggi avremmo probabilmente un mondo arabo unito, occidentalizzato e parlamentare: voi sapete invece come sono andate le cose. E il povero Lawrence? Fu allontanato da quella terra che ormai amava come la propria (l'amava "troppo", dissero quelli del Foreign Office, che notoriamente s'intendono di tutto fuorché d'amore…), molti arabi lo accusarono - e ancora lo accusano - di averli traditi, e rientrò nell'anonimato. In seguito servì nella RAF come semplice aviere col nome di Ross, ma nel 1935 - quando stava a quel che sembra per tornar alla ribalta in Inghilterra come leader politico di gruppi di giovani nazionalisti e "revisionisti" rispetto alla vecchia politica coloniale, morì in un misterioso incidente di moto. Pochi giorni dopo, avrebbe dovuto essere ricevuto da Hitler che lo aveva invitato a Berlino. Di lui ci resta I sette pilastri della saggezza, uno splendido libro postumo, bugiardo e millantatore, ma che aiuta a comprendere il clima di quel tempo meglio di mille studi veridici. Augurarci un nuovo "Lawrence d'Arabia", che magari porti gli arabi verso la "democrazia", per ingannarli di nuovo e aprire una stagione peggiore della precedente? No, grazie.

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