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di MASSIMILIANO LENZI «Caro Eugenio, sappiamo tutti e due che questi non sono i colloqui tra Goethe ed Eckermann; oltretutto la vanità avrebbe creato qualche inconveniente nella divisione dei ruoli".

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Unoscambio epistolare dimenticato e riaffiorato - per caso - trent'anni dopo, sopra una bancarella di libri usati, accanto ad un volume di vecchie ricette (non di Benedetta Parodi) e ad un vecchio calendario di Frate Indovino. Inutile chiedersi perché un vademecum prezioso sull'Italia che fu sia finito nell'oblio: più semplice sfogliarlo. Per scoprire che Enzo Biagi, già all'epoca di quel carteggio, rimpiangeva la sua televisione in Rai (definita con l'acronimo di "Rapida Assegnazione Incarichi"), quella fatta bene ed indipendente dai partiti mentre il Direttore di Repubblica dirigeva La Repubblica, l'idea della fondazione, quella arriverà in seguito. Per il Belpaese erano tempi di profonda crisi economica, di battaglie sulla scala mobile ed i due duettavano a distanza, il primo da Milano e l'altro da Roma, sul futuro e le sue incognite. Il volume che raccoglie quelle lettere, edito nel 1981 da Rizzoli, portava e porta un titolo amletico e presago: "Come andremo a incominciare?". Le preoccupazioni di allora, prima dell'arrivo del Cavaliere in politica, erano molte: Bettino Craxi era una di queste. Scriveva in proposito Biagi: "Chi intende redimere, chi vuole salvare? E poi: verso chi si sente più disponibile per qualche intesa: democristiani o comunisti? (..) Il Palazzo di via del Corso (nda: all'epoca sede del Partito socialista) viene dipinto, non dagli avversari, ma da alcuni dissidenti che mantengono inalterate le cariche e la fede come una specie di Cremlino dove governa, a colpi di minacce e di esclusioni, Bettino Craxi che dalle descrizioni assomiglia paurosamente a Iosif Jugasvili detto Stalin". Il Fondatore, da par suo, non si tirava certo indietro e rispondeva: "Caro Enzo, io mi sento profondamente liberale e perciò diffido dei socialisti. Diffido assai meno - ti sembrerà un paradosso - dei comunisti italiani perché scorgo in loro ascendenze culturali comuni e una comune visione dello Stato. In fondo i nostri comunisti assomigliano ormai assai di più agli uomini della vecchia destra che a Stalin e a Lenin. Hanno letto Gramsci, certo, ma anche Gobetti e Antonio Labriola. I socialisti io non so quali libri abbiano letto. Quei pochi che so, non sono i miei. Temo abbiano in testa una gran confusione: Proudhon, forse Sorel, forse Oriani, forse un po' di sindacalismo rivoluzionario. Nel 1912 Mussolini si sdraiava sulle rotaie per non far partire le tradotte che portavano le reclute ai porti d'imbarco per Tripoli. Mi dirai, che c'entra con Craxi? Infatti non c'entra. Almeno lo spero. Però caro Enzo, ho una paura". Ai due, insomma, il Bettino Craxi socialista non garbava molto. Anche se nel libro "Come andiamo a incominciare?" il passaggio più sapido è di sicuro quello che riguarda la gente. Siamo nel 1981, le grandi piazze televisive non sono ancora arrivate sugli schermi degli italiani per farli parlare in diretta e via etere del Palazzo e delle sue piccinerie vista dalla ggente (nda, le due -gg sono volute), ma il Paese sta cominciando ad uscire dal tunnel buio dei suoi anni Settanta. Scriveva Scalfari: "Caro Enzo, da qualche tempo ho fatto una scoperta che mi ha molto scosso ed è questa: la gente, la gente che incontriamo in strada, al bar, in treno, al cinema, allo stadio e perfino in ufficio, non parla quasi mai delle cose delle quali parliamo noi. Ha interessi diversi, problemi diversi ed anche un linguaggio diverso". "Di che cosa parla la gente?", si interrogava Eugenio. "Intanto di cose assai pratiche e connesse al tempo libero e agli strumenti che aiutano a utilizzarlo. Automobili, barche, camping, motociclette, luoghi dove andare, giardinaggio, animali, macchine fotografiche, radiotransistor. Non è questione di essere ricchi e neppure passabilmente agiati: di questi argomenti parlano assolutamente tutti, specialmente le persone tra i quindici e i quarant'anni. (..) Un altro infinito argomento di appassionate conversazioni è il lavoro e l'ambiente in cui si svolge". Preso in contropiede dalla discoverta capitata all'amico, Biagi replicava a modo suo. "Caro Eugenio, (..) quando ho cominciato (nda: a fare il giornalista), ed è un fatto che appartiene alla preistoria, si diceva di colleghi che davano del tu a Galeazzo Ciano o che erano stati in collegio a Forlimpopoli con Mussolini". Tutto questo e molto altro si scrivevano il compianto Enzo Biagi ed Eugenio Scalfari nel 1981: sembra ieri e invece son trascorsi trent'anni.

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