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di LIDIA LOMBARDI Quanti fiumi di denaro fa girare, guadagnare, truffare Pablo Picasso.

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Perfinoalle vittime di Parlamat fa sentire l'odore dei soldi. Perché a Calisto Tanzi, il signore dell'azienda travolta dal crac, hanno sequestrato dipinti eccellenti, e tra questi anche dei Picasso. Ovviamenti celati nella cassaforte e in casa di parenti. La macchina dalle uova d'oro che inventò il cubismo ieri ha fatto di nuovo fibrillare i collezionisti. Sothetby's di Londra ha tentato di toccare il nuovo record di quotazioni per un dipinto del focoso Pablo, il ritratto dormiente della più infelice delle sue donne, Marie-Therese Walter. Non ci è riuscita, «La letcure» ha toccato quota 22,5 milioni di sterline. Il massimo spuntato resta al «Nude, green leaves and bust», alienato lo scorso anno a New York da Christie's per 104 milioni di dollari (ma nel 2004 ancora Sotheby's, in Usa, aveva battuto per 104 milioni di biglietti verdi il «Ragazzo con pipa»)?. Ma che rapporto aveva con il denaro l'autore di «Guernica»? (a proposito, il dipinto-simbolo è di proprietà pubblica, esposto al Museo Regina Sofia di Madrid, dopo essere tornato in Spagna dagli Usa, nel 1981). Era un legame schizofrenico. Prima di tutto l'irruento Pablo, il tombeur de femmes, è stato definito dagli psicologi un «peniafobico». Detta semplicemente, era terrorizzato dall'idea di diventare povero, pur non avendo avuto un'infanzia proprio disagiata. La sua era una famiglia piccolo borghese, col padre insegnante in una scuola di belle arti. E però le liaison e i cinque figli avuti da quattro donne consigliarono Pablo di calare una saracinesca sul suo patrimonio. Per questo non si divise mai dalla prima moglie, la ballerina Olga Khokhlova. Non lo fece neanche quando con Marie Thérèse Walter, l'amante più giovane di lui di 28 anni, ebbe una figlia, Maya. E l'offesa sfibrò a tal punto la mente della donna, protagonista del nudo venduto ieri a Londra, che si suicidò, mettendosi una corda al collo. Idem fece Picasso con Lola Fernandez, che gli diede Raul; e con Françoise Gilot, che recò in grembo Claude e Paloma e che fu l'unica a mollarlo, stufa delle corna. Ma anche quando si risposò, alla morte della prima moglie, con Jacqueline Roque alla Madoura Pottery (era il 1961) l'artista pensò bene di non fare testamento. Sicché alla sua morte, in terra francese (nel 1973) le tasse di successione dovute al governo di Parigi vennero pagate attingendo alle sue opere e a quelle dei contemporanei che aveva collezionato. Come tanti Matisse, che insieme ai Picasso formano il nucleo del suo Museo parigino. Insomma, un oculato amministratore delle proprie sostanze, il pittore. Uno che non vendeva quadri se non ne aveva bisogno. E dunque, quanto c'è in giro di proprietà privata non è tantissimo, se si pensa che Musei Picasso sono a Málaga, a Barcellona, a Madrid. Ma il pennello che rivoluzionò l'arte del '900 aveva anche exploit di generosità. Negli anni Sessanta fece il bozzetto di una scultura per Chicago, ma quando il sindaco americano volle pagargli il compenso, centomila dollari, l'artista rifiutò e donò l'opera alla città. Invece con i sovietici rimase in freddo, pur se si iscrisse al Pc francese. Non sopportò le critiche venute da Mosca per un ritratto di Stalin, giudicato oltrecortina troppo realistico. Lo entusiasmava piuttosto il pacifismo, che fece scattare l'urlo di «Guernica». A Roma nel 1949 venne proprio per partecipare a una assemblea del Movimento per la Pace. A colazione fece a matita un ritratto alla bella comunista Rita Pisano e glielo donò. Finì nella collezione del critico letterario engagè Carlo Muscetta.

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