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Il Signore delle belle lettere

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diLUCIO D'ARCANGELO Ferruccio Parazzoli, scrittore, due volte nella cinquina del Campiello e del Premio Strega, è consulente di Mondadori, di cui è stato capo ufficio stampa e direttore editoriale Oscar. È autore di numerosi romanzi: tra gli ultimi «Piazza bella piazza» (2006), «Adesso viene la notte» (2008), «Il tribunale dei bambini» (2009). Di lui Giuseppe Genna ha dato il seguente ritratto: «Va detto che Ferruccio Parazzoli, per molti mondadoriani e per molti operatori dell'editoria italiana, è il Grande Vecchio, l'Eminenza Grigia, il Silenziosamente Imprescindibile». Da alcuni anni Parazzoli tiene corsi di scrittura creativa e con «Inventare il mondo. Teoria e pratica del racconto» (Garzanti) ha messo insieme una specie di «cassetta degli attrezzi» o meglio di tesoretto indispensabile per chiunque si cimenti nella narrativa. Una volta si diceva che gli italiani sono un popolo di poeti. Oggi sembra che i più aspirino a diventare narratori. Anche la poesia non manca, ma, come sempre accade, viene per lo più ignorata. Non ha praticamente mercato. La narrativa, invece, e come è sempre stato, può avere mercato. Dico «può» perché la sua potenzialità di diffusione ha avuto negli ultimi tempi uno stravolgimento che corrisponde alla comunicazione di massa. Alcuni titoli, e solo pochi, raggiungono tirature improvvise, mai prima registrate in Italia, grazie a una sorta di ipnosi collettiva dovuta a una società massificata dove i messaggi si diffondono rapidi ed effimeri come influenze stagionali. Per la maggior parte i titoli di narrativa non raggiungono se non modeste tirature. Ma il giuoco della roulette vale la pena giocarlo. Qual è stata la tua esperienza come insegnante di scrittura creativa? Fino a che punto è possibile imparare il «mestiere» di scrittore? È stata un'esperienza personale estremamente positiva. Non avrei potuto scrivere altrimenti il mio «Inventare il mondo». Anche chi scrive da decenni, come io scrivo, ha bisogno di fare chiarezza dentro di sé, di riordinare il proprio laboratorio. Quanto agli allievi non credo che si possa davvero imparare il mestiere di scrittore ma, per chi ha già del talento, si tratta di apprendere i trucchi dell'arte, così come avveniva nelle botteghe dei grandi pittori: la «scuola» di Giotto, la «scuola» di Raffaello, diciamo infatti. Si può stilare un decalogo del narratore? Lo scrittore è un esperto ventriloquo. Se così non fosse come avrebbe fatto Joyce a scrivere il monologo di Molly Bloom dell'«Ulisse»? Ma, soprattutto, aprire improvvisamente nel corpo della narrazione, che sembra orizzontale, botole vertiginose verso l'abisso o squarci nel soffitto verso la verticalità. Dostoevskij era un maestro in simili trabocchetti. Si potrebbe di certo farne un elenco, ma credo che ogni scrittore debba inventarsi i suoi. Quali consigli daresti a un aspirante narratore? Lavorare, lavorare, lavorare. Leggere e smontare i classici. Non leggere romanzi pubblicati almeno negli ultimi dieci anni: belli, brutti, famosi o no. Prendere le distanze. Non leggere le classifiche dei best-seller. Frequentare poco le librerie e di più le biblioteche. Tenere d'occhio il cinema, i grandi film vecchi e nuovi. Pensi che attualmente ci sia nel nostro Paese una «buona» narrativa? E se c'è, in quale rapporto è con l'industria editoriale? Penso che la narrativa italiana sia tra le migliori anche se a me, personalmente, spesso interessa poco per la sua mancanza di verticalità. Ma se la società italiana è piatta, si dirà giustamente, come fa la narrativa ad essere verticale? Ma non è forse proprio il malato quello che ha più bisogno delle medicine? Il rapporto tra narrativa e industria culturale è sovente ridotto ad un rapporto di affari. Questo non vuol dire che l'editore ignori la qualità ricercata, ma la qualità non è più, o sempre meno, la sola qualità letteraria.

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