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di FRANCO CARDINI Bella novità, quest'anno.

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Qualcunosostiene che ciò è avvenuto perché in fondo si tratta di una tradizione in declino. Se è così, bisogna sostenerla. Ma è più probabile che, almeno in questo, la società civile italiana sia un po' migliorata. Presepe, Presepio, Capannuccia. Il termine originario latino, indicante qualcosa di chiuso e di recintato, identifica principalmente una greppia, una mangiatoia, ch'è rimasto nel francese crèche; mentre gli spagnoli preferiscono riferirsi alla città natale di Gesù, e parlano di Belén. È il Vangelo di Luca, 2,7, a dirci che Maria peperit filium suum primogenitum; et pannis Eum involvit, et reclinavit Eum in praesepio. La mangiatoia era collocata, si suppone, in una stalla. Sarebbe poi nata tra i padri una lunga controversia, se quel «presepio», quella mangiatoia, stava in un «tugurio», un ambiente riparato come una capanna, oppure in una grotta; quanto ai due compagni animali del bambino, il bue e l'asino, essi non figurano nei Vangeli canonici e paiono corrispondere a un fraintendimento del testo della profezia di Isaia o di quella di Abacuc: la loro presenza è attestata nei Vangeli apocrifi, ma passò molto presto alle raffigurazioni iconiche, come si vede nelle sculture del «sarcofago di Stilicone» nella basilica milanese di Sant'Ambrogio, dell'inizio del V secolo. Si è notato che non l'asino e il bue, bensì l'onagro (l'asino selvatico) e il toro, sono animali sacri al culto di Mithra: e pare che una piccola grotta sacra, un mithraeum, sorgesse a Betlemme nel luogo poi identificato con quello della nascita di Gesù attualmente al centro della cripta della basilica costantiniana della Natività. Tutta la simbolica relativa alla nascita di Gesù rinvia, quanto meno nei Vangeli apocrifi, alla simbolica mithraica della nascita del Saoshiant, il «Rinnovatore»: ma anche un Vangelo canonico, il più antico, quello di Matteo, contiene simboli che rinviano indirettamente al mithraismo come i magi e la stella. Nel 614 d.C., quando i sasanidi persiani, di religione mazdea, conquistarono Betlemme, non distrussero la basilica della Natività, secondo la tradizione cristiana, in quanto videro in essa effigiati i magi in abito persiano. Ma forse essi scorsero, in realtà un'analogia ancora più profonda tra il culto lì prestato al Bambino e il mito del neonato Mithra di quanto i cristiani sapessero o volessero ammettere. Il presepio, come noi lo conosciamo, nacque tardivamente, ma preceduto da un buon numero di raffigurazioni di Maria che tiene tra le braccia il Bambino e che rinvia con ciò ad analoghe raffigurazioni soprattutto isiache (lo si vede bene nella pittura parietale romana delle catacombe di Priscilla, di ca. il 230), dell'adorazione dei pastori, di quella dei magi. Le rappresentazioni sacre natalizie ed epifaniche fecero ingresso nella pratica cultuale della chiesa d'Occidente a partire dall'VIII secolo, insieme con quelle pasquali: sono le processioni-rappresentazioni che in Inghilterra si chiamarono miracles plays, in Germania geistliche Schauspiele, in Francia mystères, in Spagna autos sacramentales. Si tratta del nucleo del futuro dramma liturgico, nel quale sacerdoti ed accoliti interpretavano angeli e pastori; e dei «tropi» liturgici che divennero poi veri e propri Officia, come quelli Pastorum e quelli Stellae. È stata ipotizzata una qualche continuità tra queste cerimonie e la versione popolare dei cortei liturgici pagani, specie di quelli in onore di Mithra: non è improbabile che vi sia una continuità, ma ignoriamo le fasi e i caratteri del momento acculturativo nel quale queste cerimonie, mantenendo in una certa misura il loro carattere pagano, si cristianizzarono. Certo comunque Francesco, nel 1223, rientrato da poco dalla crociata - durante la quale non aveva però potuto visitare né Gerusalemme, né Betlemme - organizzò nella cittadina umbra di Greccio una specie di sacra rappresentazione collettiva cui partecipò l'intera cittadinanza, riunita attorno alla messa effigiata dal cardinale Ugolino di Segni. Francesco, in quanto diacono, cantò il Vangelo, recitò l'omelia e pose il Bambino nella mangiatoia. Tommaso da Celano e Bonaventura hanno raccontato l'evento, che la scuola di Giotto ha effigiato nella basilica superiore di Assisi: ma i particolari della cerimonia non sono concordi. Ad ogni modo, è da lì che nasce il presepio italiano, diffuso inizialmente dall'Ordine francescano. Da allora il termine praesepe cominciò ad espandersi rispetto al suo primitivo e più ristretto valore, mentre le rappresentazioni della grotta o capanna (o grotta-capanna), della Sacra Famiglia, dei due animali e dei pastori divenivano sempre più presenti ma, collegati con la Natività, si andavano distinguendo dai momenti «epifanici» del viaggio-cavalcata dei magi e dall'adorazione del Bambino da parte di essi. Tecnicamente, gli angeli sono correlati ai pastori giudei, ai quali hanno annunziato la nascita del salvatore, mentre la medesima forza divina che è in essi si esprime, riguardo ai magi - che sono pagani e astrologi - nella stella. Con il Trecento abbiamo Natività e Adorazioni dei magi addirittura monumentali, come si vede nelle grandi statue trecentesche di legno policromo di Simone dei Crocifissi nell'abbazia di Santo Stefano a Bologna. Molti di questi presepi erano semoventi, cioè dotati di ruote o di braccia articolate, come del resto le immagini della Passione: mai il primo vero e proprio presepio meccanico fu quello costruito nel 1588 per il principe elettore Cristiano di Sassonia. Frattanto, fin dal 1534, San Gaetano da Thiene aveva fondato il primo grande presepio monumentale ed espresso la speranza che un presepio fosse costruito «in ogni casa»: il che dette avvio alla manifattura diffusa dei figurinai artigiani costruttori di figurine in gesso, cartapesta o legno, che oggi prospera soprattutto in certe città o regioni d'Italia quali Napoli, la Lucchesia e Garfagnana, il Tirolo. Era pratica almeno medievale il raffigurare nelle scene di presepio una qualche parte di monumento antico, come sarcofagi o colonne, a indicare come il Cristo nascente rivivificasse le antiche tradizioni perdute: dai padri theatini di Napoli in poi, si fissò la tradizione di porre la mangiatoia del Bambino ai piedi di una grande colonna classica, memoria forse del tempio napoletano di Castore e Polluce sulle rovine del quale si era fondata la Basilica di San Paolo maggiore, poi dedicata a San Gaetano. Il quartiere napoletano dei figurinai si addensa appunto attorno alla piazza di San Gaetano. Oggi, i presepi conoscono un'infinità di variabili regionali e vengono di continuo «attualizzati»: a Napoli, quest'anno, si trovano anche le figurine delle vere o supposte amichette del presidente Berlusconi. Le saghe che si celebrano attorno ai presepi inanimati, o a quelli meccanici, si alternano dall'arco alpino alla Sicilia con le Sacre Rappresentazioni sempre collegate alle tradizioni regionali e di rado «storicizzate». La ragione di questa «insensibilità filologica» è in realtà molto seria: si tratta, ogni anno, non già di ritrarre il panorama della Betlemme di duemila anni fa, bensì di sottolineare come il Bambino rinasca ogni anno, e rinasca qui, tra noi, tra la nostra gente perché è uno di noi. Certo, la campagna romana e la Ciociaria non sono più quelle dei presepi che si possono ammirare in piazza del Popolo, e questo vale anche per la montagna abruzzese o per quella tirolese. Ma il principio teologico è sempre quello inaugurato a Greccio da Francesco, allorché parve che il Bambino vivesse tra le sue mani. Anche l'albero di Natale, d'origine germanica e luterana, ormai è di casa tra noi. Ma restiamo italiani: non dimentichiamo il presepio.

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