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Quando Federico Felini girava quella che sarebbe diventata una scena di culto, non immaginava certo il successo che avrebbe avuto quella pellicola.

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Dall'uscitanelle sale di quel film sono passati 50 anni, ed è di nuovo evento: il Festival del Film di Roma (28 ottobre - 5 novembre) non poteva che dedicargli una serie di omaggi. A cominciare dalla retrospettiva, «La notte pazza della Dolce Vita» (del centro sperimentale di cinematografia), fino alla proiezione - sabato prossimo all'Auditorium, alle 18, con successiva cena di gala sulla Terrazza degli Aranci - della versione restaurata della pellicola felliniana, alla presenza (forse) di Martin Scorsese. Grazie alla Film Foundation del regista di «Gangs of New York» (in collaborazione con Gucci) quelle immagini, che da Trevi furono girate all'Eur, a Fregene, nel Teatro 5 di via Tuscolana e soprattutto in via Veneto, rievocano quel periodo, tra set invasi dai fotografi, notti romane con star di Hollywood, feste trasgressive a bordo piscina, nonostante la censura e il moralismo dell'epoca. Oltre ad altre tre mostre sul tema, nell'ambito del Festival di Roma verrà proiettato (prima della pellicola restaurata) anche il documentario «Dolce Vita Mambo» di Antonello Sarno. Riaffiorano lì i cinegiornali d'epoca, i materiali girati sul set e durante le anteprime di Roma (al cinema Fiamma con il presidente della Camera Leone) e a Milano (dove a Mastroianni gridarono «Vagabondo, vigliacco, comunista»). E ancora, sfilano le immagini della Palma d'oro vinta al 13esimo Festival di Cannes, con l'arrivo a Ciampino dei divi su aerei a elica e le discussioni sulla censura: «Il film di Fellini l'hanno visto tutti, solo in Italia incassò una cifra, rapportata al valore di oggi, pari a 26 milioni di euro - rivela Sarno - Però sulla genesi della pellicola si sapeva ben poco perché allora i backstage non esistevano. Un peccato perché da quel momento la Dolce Vita fu un marchio internazionale». Un simbolo dello stile Made in Italy, con quelle folli serate romane e quella sceneggiatura di cui si parlava nei caffè mentre la scrivevano Fellini, con Tullio Pinelli, Ennio Flaiano e il contributo di Pier Paolo Pasolini. Nessun altro film oggi regge il confronto. Perché suscita ancora tanto fascino la Dolce Vita? Le vecchie generazioni ricordano quei cinque mesi in cui il film fu girato, a partire dal 16 marzo del 1959. Quei ciak furono un evento mediatico, ancora prima che il film fosse finito, i set vennero visitati da tutti i romani e non solo. «La Dolce Vita» diventò la risposta italiana all'invasione di Hollywood sul Tevere, proprio nell'anno successivo a kolossal come «Ben Hur» e «Cleopatra». Fellini portò davvero qualcosa di nuovo al cinema italiano e con quelle scene conquistò il mondo. È difficile spiegare perché questo film all'epoca apparve come qualcosa di unico e come, in questi 50 anni, sia diventato un luogo dello spirito, una categoria mentale, una visione del mondo, uno dei tratti costitutivi del carattere degli Italiani, che trascende la stessa epoca che lo ha prodotto. Con «La Dolce Vita» quel fitto intreccio tra giornalismo e cinema, uno dei caratteri originali di tutta la cinematografia italiana del secondo dopoguerra, conosce il suo clou. Rivedere le sue scene significa ricostruire un capitolo di storia e di costume del nostro Paese. In quel film sono già presenti le icone-chiave della bella Italia: come quando Anita a spalle nude e vestita di leggera mussola, sguazzava nella fontana trascinando il suo partner riluttante. Alla fine delle riprese, si allontanò in fretta buttandosi sulle spalle, come un accappatoio di spugna, la luminosa pelliccia di visone. Così nasceva la Dolce Vita.

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