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Sichiude oggi la XV edizione del Premio Lunezia, appuntamento classico delle rassegne d'autore estive. La particolarità del Lunezia è centrata sul conferimento al valore musical-letterario delle canzoni italiane, un titolo di cui la rassegna lunigiana può ben fregiarsi grazie all'imprimatur di Fabrizio De Andrè e Fernanda Pivano, fra i primi sostenitori del festival. Una formula di successo, presa in prestito da altre rassegne e comunque da tener presente proprio nella settimana in cui la discografia torna a sorridere con un inaspettato incremento del 9% sulle vendite dei cd. Incremento che non si registrava da undici anni e che secondo molti osservatori è da attribuire principalmente alle nuove leve e in particolar modo ai talent show, che non costituiscono esattamente un valore aggiunto della «musical- letterarietà». Al Lunezia, fra i premiati, Gianni Morandi, vincitore con «Grazie a tutti», Mario Lavezzi, Patty Pravo, Ornella Vanoni, Mario Venuti e Angelo Branduardi. Premio speciale per Bungaro e alla sua operazione di mettere in musica un prezioso testo inedito di Sergio Endrigo («Dal destino infortunato»), un autore che la musica leggera italiana ha dimenticato troppo presto. L'anno scorso era stato premiato anche Ivano Fossati. Qual è il valore aggiunto di un buon testo? Per anni la musica leggera ha vissuto di guizzi autoriali, promossi da compositori che si comportavano come editorialisti, sempre in grado di intercettare il gusto del pubblico. Oggi lo scenario è certamente più dozzinale, brutalmente omologante e dunque premiare o comunque riconoscere originalità e anti-conformismo è una strada da seguire. Ci aspetta una nuova stagione televisiva carica di promesse già viste, dove i talenti (si fa per dire) avranno il compito principale di pre-pensionare quelli saliti alla ribalta, più o meno casualmente, lo scorso anno. Una situazione di alto stress e qualche volta di scarsa trasparenza, della quale è quasi inutile parlar male. Fortunatamente le buone notizie arrivano dal pubblico, che in teoria dovrebbe ormai essere quasi cloroformizzato ma che, sorprendentemente stupisce per la voglia di reagire. Ne costituisce prova provata la creazione del tormentone, un'esigenza tipicamente estiva, quasi un morbo che puntualmente si abbatte come una mannaia su cantanti e addetti ai lavori. Bene, quest'anno il tormentone non è arrivato, però ci ha pensato il pubblico, proprio quello della spiaggia, a cui in fondo è destinato. «'Na bira e un calippo» (facciata b: «Stamo a 'fà a colla») delle esordienti Romina e Debora - le minorenni che sulla spiaggia di Ostia hanno destato l'attenzione anche di Carlo Verdone - dimostra che il linguaggio disarmante dei giovani, un vernacolo basic e nativo digitale, trafigge e sorpassa autori e interpreti, i quali sempre più raramente anticipano i gusti del pubblico. Di un tormentone si può anche fare a meno - come pure di certa finta indignazione - ma non di quella espressività periferica di cui molti grandi equilibristi della parola non hanno saputo fare a meno, da Mogol a Pasolini, da Flaiano ad Arbasino. Prima ancora che diventassero solo canzonette.

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