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Intramontabile Maigret ma dietro la sua pipa c'è la rivoluzione Simenon

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Chi è più famoso, Maigret o Simenon? L'inventato o l'inventore? Quesito abusato in letteratura, quando i personaggi sono così esemplari da risucchiare il loro autore. E dunque Orlando più di Ariosto, Ingravallo più di Gadda, Emma Bovary più di Flaubert, Peppone e Camillo più di Guareschi. Ma Simenon no, non soccombe alla sua «marionetta». Insomma, viene prima la scrittura, il romanzo, e poi il piedipiatti, pur a tutto tondo. Eppure l'autore belga è diventato famoso con il commissario gourmet, nato nel 1930 e scomparso - letterariamente s'intende - nel 1972. Maigret è protagonista in 75 romanzi e 28 racconti. Ma a garantire l'autonomia del romanziere rispetto al suo protagonista è stato anche il modo con quale Maigret fu partorito: nei feuilleton a puntate, allegati a quotidiani come Le Figaro. E nei giornali si percepisce prima la firma, il titolo, e poi il contenuto. L'altro atout che svincola Simenon dal divo detective è la consapevolezza della propria autonomia. Sui film, sugli sceneggiati tratti dai suoi gialli, vigila più di un bulldog. Un esempio, riferito da Andrea Camilleri, «maieuta» in Rai ai tempi del Maigret di Gino Cervi. Simenon approvò subito la scelta dell'attore emiliano nei panni del suo eroe. Non voleva invece Andreina Pagnani come signora Maigret. «Troppo bella», obiettava. Al che viale Mazzini, con il regista Gino Landi e Diego Fabbri, grande sceneggiatore, rispose «col trucco». Ovvero invecchiando la grande interprete italiana. E Simenon restò incantato dalla casalinga dimessa nella quale la Pagnani era stata trasformata. Fu un successo, sui nostri schermi in bianco e nero, durato otto anni, dal 1964 al 1972. L'ultima serie de «Le inchieste del commissario Maigret» tenne incollati alla tv 18 milioni e mezzo di spettatori. Senza contare che, all'apparire dello sceneggiato, anche nei cinema si installarono televisori, per arginare il crollo dei cinefili il giorno della messa in onda. Perché Simenon teneva tanto alla coerenza tra i propri libri e le trasposizioni cinematografiche o televisive? Perché in fondo sapeva di aver creato un filone, ovvero la borghesizzazione del racconto giallo. Personaggi invischiati in storie più grandi di loro, borghesi piccoli piccoli che sciolgono il mistero applicando l'intelligenza al buon senso. Niente effettacci alla Poe, niente svolazzi gotici. Invece, una scrittura asciutta, dove tutto è trasparente. Maigret è sbrigativo e concreto come lo stile del suo inventore. L'altro fondamentale salto è aver cambiato la prospettiva del racconto. Il fine del giallo non è scoprire chi è il colpevole, ma perché è accaduto il misfatto. Si cambiano così le regole del plot, si accentua l'attenzione alla psicologia dei personaggi. Siamo complici dei loro pregi e difetti. «A Maigret ho dato una regola - confidò un giorno Simenon - Non bisognerebbe mai togliere all'essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il peggior crimine di tutti. «Un grande romanziere, forse il più grande in lingua francese», disse di lui André Gide. Esagerato? Rispondono i numeri: è il quindicesimo autore più tradotto di sempre, il secondo francese. Dopo Verne.

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