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Amare l'archeologia

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Frasisceme vergate con lo spray sui monumenti e i palazzi simbolo di Roma nel mondo. Sono le ferite inferte dai bulli al patrimonio storico-artistico ovunque. A Napoli il 90% dei monumenti subisce l'attacco dei graffitari. In Europa sono 3 milioni e mezzo. Eppure le pietre antiche parlano di noi. Della nostra storia. E di ogni singolo uomo. E proprio quando meno te lo aspetti possono svelarti un mistero. Un furto, un omicidio, una lapide da ricomporre per carpirne un ambiguo messaggio. Succede nel romanzo di Maria Cecilia Cartocci, l'archeo-thriller «I melangoli». L'autrice è un'archeologa prestata alla biblioteca di un liceo classico romano, il Montale, per l'aggravarsi della sclerosi multipla che l'ha sottratta agli scavi, la sua passione. Ne «I melangoli» propone un racconto che si snoda in un ampio giro di tempo, ma che ha come unica protagonista la Basilica di San Marco a piazza Venezia in Roma (nella foto di Gmt), con i suoi rifacimenti, il sottosuolo, gli scavi recenti. «Vicino alla basilica di San Marco le storie di molti personaggi e le loro vite lontane nel tempo si intrecciano e s'appassionano intorno ad un tesoro che passa silenzioso di mano in mano in modo casuale e a volte illegittimo» spiega Claudio Guerrieri, docente di filosofia, che ha presentato il libro. Il romanzo dalle tinte noir attraversa epoche diverse. «Da una Roma appena cristianizzata, che costruisce le sue basiliche, all'attualità del recupero di quelle stesse basiliche nel nostro tempo» spiega Guerrieri. E lo scavo ne è protagonista. «Nel vano buio palcoscenico della storia - continua il professore -, si intrecciano una complessità di sentimenti, speranze e delusioni, amori, tradimenti, omicidi. Così si compone un piccolo colossal in cui molti raccontano intorno ad un albero, prima vivente e già perso, quello dei melangoli, la loro storia. A volte una storia intrisa di meschinità e sete di guadagno, altre di speranza e di una ricerca pura di ricostruzione del passato. Chi passa in qualche modo resta. Resta nei recuperi degli archeologi e nella ricomposizione della storia del luogo». Attraversare Piazza Venezia oggi, dopo la lettura di questo «esile e gentile romanzo» per Guerrieri «apre il cuore ad un ascolto prima inusitato». E in ascolto dovrebbero mettersi anche i bulli. «Questo libro ci induce a una riflessione sulla valenza dell'archeologia e della storia dell'arte per i giovani» dice il preside del liceo Montale, Francesco Girgenti. «I nostri discenti imparano ad amare le pietre scritte nell'antichità che sono la testimonianza viva e perenne del nostro passato per noi sempre presente - spiega il preside - Come fosse un gomitolo tutto raccolto che l'alunno svolge lentamente rendendo presente la memoria del passato». Quante emozioni. «Quando io prendo una pietra scritta con un'epigrafe provo la stessa viva sensazione di tenere in braccio un bambino appena nato che presento all'umanità. È una sensazione fortissima, che i giovani devono poter apprendere - dice Girgenti -. Se amassero le pietre vive che noi studiamo nell'archeologia rispetterebbbero i nostri monumenti e non li imbratterebbero. Li considererebbero con la massima devozione come si fa per le cose più care». L'auspicio è che «se il nostro ordinamento scolastico prevedesse per tutti gli ordini di scuola, e non solo per i licei classici, l'insegnamento della storia dell'arte, non solo in funzione culturale ma anche in funzione educativa allora tante forme di bullismo scomparirebbero di per sé, perché tutti apprenderebbero ad amare le pietre vive, quelle scritte dai nostri padri, e che rappresentano la testimonianza più forte ed autentica del nostro passato. Noi le appendiamo come trofei nelle nostre chiese e nei nostri musei, riconoscendole degne di onore - conclude Girgenti - perché lì c'è la storia di ogni singolo uomo, che abbiamo il dovere di scoprire e tutelare».

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