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Lewis Carroll riabilitato

Una scena del film Alice in Wonderland di Tim Burton

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Ebbene sì: amava le bambine. Trascorreva con loro gran parte del suo tempo, le coccolava, le vezzeggiava, inventava mille giochi per farle divertire. E le fotografava, cercando di cogliere nei loro sguardi quel misto di tenerezza, capriccio e ambiguità che le rendeva deliziose. Lewis Carroll amava le bambine, piccoli, enigmatici angeli, con addosso qualcosa di magico. Come Alice Liddell. Per lei scrisse la bellissima - e criptica- storia "Alice nel paese delle meraviglie", che ne eternò il nome, che conquistò ben presto l'immaginario collettivo, che Walt Disney trasformò in un incantevole cartone animato e che è tornata in questi giorni sugli schermi nella versione genialmente sregolata di Tim Burton. Amava le bambine il reverendo anglicano nonché prof. di matematica Charles Dodgson, in arte Lewis Carroll. E mentre il primo, come scrive Karoline Leach ("La vita segreta del papà di Alice", Castelvecchi, pp. 427, euro 22), "nacque il 27 gennaio 1832, visse la sua vita e morì il 14 gennaio 1898", il secondo "nacque il primo marzo 1856 ed è ancora tra noi". Già, perché da cento anni ci si occupa soprattutto della seconda incarnazione. E cioè del "mito" di Lewis Carroll, piuttosto che della "realtà" di Charles Dodgson. Ora, come è noto, sul capo dello scrittore è da decenni sospesa una sinistra, sulfurea nuvoletta. Insomma, anche ammettendo che il Nostro amasse platonicamente le bambine prepuberi che circolavano per la sua casa, di fatto quei vagheggiamenti erano morbosi, frutto di una sessualità repressa, deviata, malata. Il povero Lewis - si dice - viveva fuori dal mondo, non aveva contatti umani, trovava unico conforto nella compagnia delle pargolette non ancora sbocciate, si disinteressava delle sue amiche non appena diventavano grandi. O erano loro che, a un certo punto, si sottraevano all'atmosfera malsana di quella casa. Questa è, per così dire, la "vulgata". Ed è ovvio che, trattandosi di un argomento pruriginoso, la letteratura in materia abbondi. Che storia eccitante quella del pretino solitario, complessato e pedofilo! Peccato che la verità sia un'altra. Come dimostra la Leach, a suon di documenti. Ne restano abbastanza, anche se gli eredi infierirono, tra roghi ed aste, sulla sterminata quantità di carte che riempivano le stanze del defunto. Basta avere la voglia di consultarli, buttando via i pregiudizi. Ebbene, sostiene la Leach, non è vero che Carroll concedesse amore e attenzione solo a bambine in età prepubere. È vero, invece, che gran parte delle frequentatrici di casa sua cominciarono come "amiche bambine", ma poi crebbero e restarono tali anche quando avevano venti, trent'anni. Lui continuò a chiamare "piccole amiche", ma erano donne sposate, vedove, ragazze "single", con molte delle quali ebbe relazioni più o meno intense. Insomma, al suo amore per le bambine non si mescolavano fantasie morbose né tanto meno sotterranee vocazioni pedofile, perché gli piacevano le ragazze e le donne. Come "normalità" comanda. E allora com'è potuta nascere la leggenda e come mai su di essa sono prosperati tanti maliziosi malintesi? La colpa originaria sta nella prima e unica biografia "ufficiale" di Lewis Carroll, quella scritta, undici mesi dopo il suo decesso, dal nipote Stuart Dodgson Collingwood. Il quale, più che un attendibile profilo biografico, ne confezionò uno agiografico. In perfetta conformità allo spirito vittoriano incline ai santini. Ragion per cui la vita dello zio doveva essere l'immagine della virtù: duro lavoro, autodisciplina, rigido conservatorismo, genuina fede religiosa. E le bambine? Ma in età vittoriana "chi amava le bambine" era uno spirito superiore attratto dagli angeli, e davvero Collingwood mai e poi mai avrebbe immaginato di consegnare ai posteri un'immagine equivoca dell'amato zio. Il puro, l'eletto, il casto, l'ingenuo Lewis Carroll, meraviglioso affabulatore, con tante bambine intorno, amate con innocenza : ecco l'icona da tramandare. Via, dunque, in nome di un'immagine "sublime", ogni traccia di normali appetiti sessuali e di altri legami affettivi. E lievi, rapidi cenni al fatto che il Nostro a trent'anni aveva abbandonato la tonaca, era pieno di interessi per le idee nuove e coltivava una vera e propria passione per l'estetismo voluttuoso ed eretico dei Preraffaeliti. Così, per eccesso di "benevolenza", Collingwood arò il terreno dove la nostra "malevolenza" avrebbe abbondantemente seminato. Ma ora la Leach, lavorando sui documenti, rovescia la consolidata immagine di un "bambino invecchiato", e un po' perverso, e ci dà quella di un uomo "adulto", con pregi e difetti. Il dibattito è aperto.

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