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Hopper, l'americano che guarda dentro

Una donna nel sole, Edward Hopper (1961)

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Perché i quadri di Edward Hopper sono così radicati nell'immaginario collettivo della nostra epoca? Perché le sue icone sulla solitudine contemporanea immersa in una luce cristallina vengono istintivamente desiderate e possedute sotto forma di poster anche dagli adolescenti? Eppure, il grande (anche dal punto di vista della statura, visto il suo metro e novanta di altezza) artista americano, taciturno e solitario, diceva di voler semplicemente dipingere “la luce del sole sul lato di una casa”. Sarà pure così, ma in quei quadri, “calmi, silenti, stoici, luminosi, classici” (come scrisse John Updike), c'è tutta la nostra condizione esistenziale, con una profondissima analisi visiva della vita. E così c'è tanta attesa per la mostra dedicata ad Hopper che si aprirà il 16 febbraio nel Museo Fondazione Roma, dopo le lunghe file e i 200.000 visitatori che hanno scandito il successo della prima tappa ospitata nella sale di Palazzo Reale a Milano. L'ideazione e il primo impulso alla mostra vengono proprio dal lungimirante Presidente della Fondazione Roma, Emmanuele F.M. Emanuele, mentre la curatela si deve a Carter Foster, del Whitney Museum di New York. E coglie nel segno Vittorio Sgarbi, autore di uno dei testi nel catalogo Skira, quando dice che «di Hopper piace la rappresentazione del grado zero della realtà, e anche il suo opposto: il mistero dietro le cose. Ogni dipinto è come un fotogramma o un trailer di un film che non vedremo, immaginando le storie dei personaggi che non le raccontano, ma le lasciano intuire». E infatti Hopper, oltre che pittore meticoloso, è stato anche una sorta di strepitoso regista, nonché direttore della fotografia. Amante del teatro e del cinema noir, con i suoi capolavori è poi diventato lui stesso fonte di suggerimenti per tanti film cult: Alfred Hitchcock si ispirò alla sua famosissima «House by the Railroad» per la casa del truce Norman Bates in “Psycho” mentre le tre pompe di benzina di un quadro inquietante come “Gas” sono citate testualmente da Antonioni nel “Grido”. E poi chissà, un'altra sconvolgente assonanza dei quadri di Hopper con i nostri anni non facili e di crisi economica, sta anche nel fatto che i suoi personaggi solitari e incapaci di comunicare neppure quando sono in due portano i segni dell'epoca della Grande Depressione e del crack del 1929.   Certo, di crisi non risentono le sue opere, oltre tutto rarissime visto che solo 15 oli sono andati all'asta negli ultimi vent'anni: il record spetta, nel 2006, ad “Hotel Window” con 26,8 milioni di dollari, mentre un'opera su carta può costare anche 500.000 dollari ed una stampa fra i 10.000 e gli 80.000. Quel che conta però è che le sue donne in attesa di fronte al nulla eppur trasudanti un erotismo straniato e le sue città abitate solo dalla luce compiono il miracolo di far coincidere realtà ottica e verità metafisica.  

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