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Tolkien è di chi lo ama

Un fotogramma tratto dal film

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{{IMG_SX}}Much ado about nothing, come diceva il vecchio Shakespeare: "Molto rumor per nulla". O meglio, magari molto rumore per molto: dal momento che John Ronald Reuel Tolkien la sua complessa opera di studioso e di scrittore, la sua feconda eredità culturale e magari addirittura etica e spirituale, sono cose che avrebbero un grande peso nella cultura occidentale se essa si decidesse a far sul serio, una buona volta, i conti con la miglior parte di se stessa. Nato a Bloemfontein (Sudafrica) nel 1892 e morto a Bournemouth (Inghilterra) nel 1973, Tolkien entrò come undergraduate nell'Università di Oxford diciannovenne, nel 1911, e vi trascorse si può dire tutta l'esistenza, dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale. Filologo e linguista, cultore in special modo di letteratura inglese medievale, accompagnò il suo erudito lavoro di studioso a un'intensa attività letteraria cominciata quasi per scherzo, scrivendo scherzi e ballate per i colleghi. Ma in lui maturò poco a poco una vocazione al racconto che si tradusse, oltreché in numerosi scritti "minori" che oggi si vanno ripubblicando, nella monumentale saga de «Il Signore degli Anelli», un immenso romanzo nel quale il genere cavalleresco di ascendenza medievale si sposava con la capacità d'inventare interi continenti geografici e fantasiose ma anche filologicamente inappuntabili grammatiche e sintassi di popoli favolosi e inesistenti. Si aprì così il territorio sconfinato della heroic fantasy: un mondo espressivo nuovo, in cui confluivano la tradizione epica europea e le nuove - per allora nuovissime - forme di racconto fantascientifico. In ciò, il contributo del Tolkien s'incontrò e s'intrecciò con quello dell'amico e collega Clive Staples Lewis, autore sia di capolavori filologici come «L'allegoria d'amore» dedicato alla poesia medievale, sia di romanzi appunto fantascientifici come Out of the Silent Placet e Perelandra. Insieme col Lewis, Tolkien dette vita al fantasioso gruppo oxoniense degli Inklings, neologismo che - in analogia con i Nibelunghi, si potrebbe tradurre con la parola Inchiostringhi. Graziosamente infatuati della loro passione per lo scrivere, il leggere e lo studiare, questi "Signori dell'Inchiostro" s'incontrarono quasi ogni settimana al martedì e al giovedì, tra Anni venti e Anni Cinquanta, per leggersi a vicenda le loro cose o leggerne di altrui, per bere birra e gin, per fumare, per giocar a freccette o a scacchi (la loro era l'atmosfera del Pub universitario), per discutere e magari litigare. Nonostante la professione di fede cristiana e addirittura cattolica di alcuni di loro, che li fece denominare "Oxford Christians", in realtà c'era un po' di tutto: dal padre domenicano Gervase Matthews al libertario John Wain. Non c'è comunque dubbio che la visione del mondo grosso modo condivisa da tutti i membri del sodalizio fosse politicamente parlando conservatrice, con punte addirittura reazionarie, ed esteticamente parlando alquanto antimoderna. Tuttavia, va sottolineato che si trattava di spiriti liberi che amavano rimettersi di continuo in discussione. E all'ormai anziano Tolkien non dispiacque affatto sapere che il suo capolavoro, uscito in tre volumi tra '54 e '56, era diventato tra gli Anni Cinquanta e anni Sessanta una specie di Bibbia tra i ragazzi americani del Flower power, gli hippies, che naturalmente lo leggevano in una chiave essenzialmente anticonformistica, ostile alla società dei consumi che essi avversavano. E allora, eccoci al punto. Much ado about nothing, "Molto rumor per nulla". Che il Tolkien fosse un anglocattolico conservatore, è un dato obiettivo. Che la sua critica alla Modernità e al mondo del danaro e dei consumi potesse piacere e affascinare nel mondo dei giovani statunitensi, quelli di Easy Rider, è innegabile. Che le sinistre europee e in particolare italiane del tempo nel quale uscì la prima traduzione completa italiana, si affrettassero invece a scomunicare non tanto lui quanto chiunque in qualche modo ne praticasse la lettura e la diffusione, è non meno vero. Il Signore degli Anelli ebbe difatti un'avventura italica tormentata: edito in versione parziale dall'Editrice Astrolabio nel 1967, fu "riscoperto" subito da quello straordinario talent scout "fuori dal coro" ch'era Alfredo Cattabiani e tradotto per l'Editore Rusconi nel '70 da un altro bel tipo di ragazzaccia controcorrente, Vittoria Alliata. L'operazione ebbe come patron un pezzo da novanta della cultura non-allineata di allora: Elémire Zolla. Di tutto ciò so qualcosa di prima mano, perché cominciai a scriverne nel '73 e raccolsi poi alcuni saggi a ciò relativi nel mio Testimone a Coblenza (Camunia, 1987), allora dedicato a Rosario Assunto e ora riedito in versione aggiornata col titolo di Testimone del tempo (Il Cerchio, 2009). Non avevamo vita facile, allora: né Cattabiani, né l'Editore Rusconi, né Elémire Zolla, né Rosario Assunto, né Vittoria Alliata: e, se posso aggiungerlo, nemmeno io. Nel 1981 mi giocai il Viareggio Saggistica perché il mio ("tolkieniano"?) «Alle radici della cavalleria medievale» fu giudicato "di destra": ne furono indignati testimoni Ludovico Zorzi e Giorgio Saviane, allora in giuria. Erano i tempi in cui, a Cuneo e sotto il venerabile patronato di Norberto Bobbio, si celebrava il "processo intellettuale" alla Nuova Destra di Marco Tarchi. E io ero fra gli imputati. La situazione di oggi è del tutto diversa. Le polemiche non hanno quindi al riguardo motivo di sussistere. Quella di Tolkien e della sua tempestosa accoglienza in Italia è una pagina della nostra vita (e del nostro costume) intellettuale che ormai possiamo pacatamente ricostruire. Ma senza giochi delle tre carte, senza omissioni. È un fatto che tra la destra antimoderna, "tradizionalista-radicale", e una notevole parte della sinistra ci fossero allora, come esistono oggi, molti temi comuni, molte consonanze, molte convergenze e perfino simpatie. È una storia vecchia, che ha imbarazzato molti. Ma a Gianfranco De Turris non si può non riconoscere il merito di aver percorso strade difficili e scomode, in tempi nei quali autori rei di non essere politically correct venivano ostracizzati o marginalizzati o censurati: se essi hanno continuato a circolare, è stato anche per merito suo. D'altro canto, all'amico De Turris suggerirei di lasciar perdere le questioni di primogenitura o, peggio, di copyright concettuale. Se oggi a sinistra si ama di più, e scopertamente, un autore come Tolkien (che molti di sinistra, in Italia, hanno comunque sempre amato: magari senza confessarlo), tanto meglio. Per tutti, per Tolkien e anche per la sinistra.

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