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«Credo che i giornali italiani, tutti, gli debbano molto.

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Eccoun pioniere, non sempre riconosciuto come tale: ma in Italia, questo guaio, capita spesso». Le parole di Giampaolo Pansa delineano nitidamente il ruolo rivestito da Franco Bevilacqua negli anni tumultuosi ma fervidi dell'editoria italiana del secondo dopoguerra. Scalfari, che è stato suo direttore (anzi, "il" direttore) dalla fondazione di "Repubblica" sino al lacerante commiato di Franco, lo definiva "il padrone dello spazio". In effetti, Bevilacqua è stato molto di più di un grafico o di un illustratore di genio: il pubblico dei quotidiani (anche de "Il Tempo") e dei periodici gli deve l'invenzione di un modo nuovo di lèggere, in pagine non più concepite come monoliti di parole piombate, con articoli costretti a seguire percorsi labirintici e soffocanti, ma dove ogni spazio diventa design cartaceo, dove l'immagine acquista un valore pregnante, evocativo ma ineludibile, e dove anche il bianco, ricorda lui, è un colore che arreda e tutela l'occhio, invitandolo alla riflessione. La sua avventura professionale e umana Bevilacqua la racconta (con la penna di un giornalista di razza), nel libro "CorpoOtto" (ed. Ponte Sisto, 18 euro), che è molto di più di un'autobiografia: qui e là vi fa capolino la Storia: sin dalla biblioteca Vaticana dove lavorava suo padre, al fianco di personaggi come Alcide De Gasperi, allora un semplice impiegato. E poi l'occupazione tedesca, il principino Borghese che veniva a scuola a cavallo, Moravia e Pasolini che assistevano agli spettacolini all'oratorio in cui recitava Franco, dopo un'infanzia trascorsa fra giochi di strada ormai dimenticati, come quella sorta di baseball nostrano che era la "nizza". Poi il lavoro: con la struggente descrizione della nebbia ostile di Milano, nel periodo della "Domenica del Corriere", quando persino il taxi era costretto a seguire i binari del tram, pur di individuare la strada giusta davanti a quella cortina impenetrabile, e l'amore sempre riconfermato per Roma, nel momento dell'adesione ideologica alla sinistra, e quel "Paese Sera" d'assalto dove Franco impose - in morte di Picasso - l'abbassamento del nome del giornale in prima pagina per far posto a un particolare di "Guernica". Fu lì che nacque il sodalizio con Forattini, non ancora vignettista d'eccezione: i due marciarono di pari passo (Pertini chiedeva copia dei disegni fulminanti di "Forattini" che spesso erano firmati da Bevilacqua) dentro "Repubblica" e poi nel restyling de "La Stampa", condividendo anche il travolgente successo per la campagna di lancio della Fiat Uno. Poteva nascerne un formidabile studio pubblicitario, ma Franco non ha mai fatto la scelta più semplice, in nome della propria indipendenza intellettuale. Lo dimostra la tormentosa rottura con Scalfari: questi, seccato per il suo passaggio come art director al "Globo", gli vaticinò "l'entrata nel cono d'ombra" della carriera. Eppure, molti emuli di Franco provano ancora a ricalcarne le idee senza averne l'intuito né la matita, in questi tempi così impervi per chi di carta stampata vive. Ste.Man.

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