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Quell'Italia della guerra fatta di sangue e paura

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Un pomeriggio dopo l'altro, sempre seduti al tavolo della cucina, sotto una lampadina di poche candele, «perché la luce è cara come il fuoco» si giustificava lei, Giuseppe e Carmen costruirono la loro amicizia. Era un sentimento strambo, perché legava un bambino di 11 anni che spesso si comportava come un uomo e una ragazza di quasi ventidue che, in compagnia di Giuseppe, si scopriva ancora bambina. E tuttavia, passin passetto, quell'amicizia cominciò a rivelarsi sempre più salda, schietta e, perché no?, dolce quanto un innamoramento. Fu in quegli incontri che, un po' alla volta, Carmen s'avventurò a parlare della sua esistenza di prima. Aveva vissuto a Torino, con i genitori e un fratello, in una vecchia casa del centro. Il papà era professore di latino e di greco in un liceo classico della città, il fratello frequentava lo scientifico e la mamma badava alla casa. Una vita quieta che s'era conclusa una notte del 1942: un bombardamento aveva distrutto la loro casa e i genitori erano morti. Lei e il fratello si erano salvati, perché stavano a trovare uno zio ammalato in un paese di montagna della Val d'Aosta, Champoluc. «Te la rammenti la guerra?» domandò Carmen a Giuseppe. «Sì, non ero così piccolo», rispose lui, «quando è cominciata stavo per compiere i 4 anni e la volta che è finita ne avevo quasi 9.» «E che cosa ricordi di quei tempi?» chiese ancora Carmen. «Se mi metto a parlare», rise Giuseppe, «tra un mese siamo ancora qui. Mi ricordo specialmente di quando i partigiani e i fascisti si combattevano. L'hanno fatto anche in città, in questa via: nel palazzo vicino al nostro c'era la Casa del fascio, e lì ne sono successe di tutti i generi!» La Carmen impallidì: «No, dimmi un ricordo solo, ma senza partigiani né fascisti: di quelle storie lì non voglio tirare a mano più niente!». Giuseppe ci pensò su, poi rispose: «Il ricordo che mi piace di più è quello di Pippo l'Aviatore, l'aereo che volava di notte e arrivava sempre puntuale, ronzando come un moscone, guidato dal pilota solitario. Qualunque luce, anche una lucettina della buonamorte, lo attirava come il miele attira una mosca. E quando ci arrivava sopra, giù una bomba! C'era anche una poesia su Pippo l'Aviatore: Sono Pippo, / volo diritto: / se vedo un lumicino / butto un bombolino; / se vedo un lumicione / butto un bombolone». «Hai avuto paura durante la guerra?» s'informò Carmen. Lui sembrò quasi offeso dalla domanda: «Io no, mai! E tu?» Lei non mentì: «Io sì, una quantità di volte. Soprattutto quando stavo sotto le armi». Giuseppe rimase a bocca aperta: «Sotto le armi? Ma a fare il soldato ci andiamo soltanto noi maschi. Le donne rimangono a casa». Carmen non si trattenne: «Oh, mi scusi, signor maschio! Nessuno mi aveva avvertito che il soldato è un mestiere tutto per voi. E siccome non lo sapevo, mi sono presentata al distretto e lì mi hanno presa». «Dove? Nell'esercito dei repubblichini?» domandò Giuseppe, sveltissimo. «Sì, però non chiedermi niente di quella faccenda lì, dato che io non ti racconterò mai nulla!» replicò lei, con un tono di un secco. «Ti dico solo che a quei tempi di paura ne ho provata tanta. E ancora adesso ne ho un bel po'.» Lui la esaminò, preoccupato: «Ecco perché non vai in giro come le altre ragazze, a vedere le vetrine dei negozi, al cinema, a ballare. Ma di che cosa hai paura?» Lei si prese il viso tra le mani e guardò il bambino con occhi sagrinati: «Vuoi che te lo dica? Ho paura dei giustizieri comunisti». «E chi sono?» indagò Giuseppe, sempre più meravigliato. «Quelli della Volante rossa, che fanno il mestiere di ammazzare chi è stato con Mussolini. Per loro la guerra non è finita, come sostiene il tuo papà. Entrano in casa di un tizio e lo accoppano, sotto gli occhi della moglie e dei figli. Uccidono pure le donne. A Milano, nel giro di ventiquattro ore, ne hanno fatte secche due. E a marzo, con quattro colpi a bruciapelo, hanno mandato all'altro mondo il direttore di un giornale fascista che dava molto fastidio, si chiamava Franco De Agazio. Il giorno dopo hanno steso uno dell'Uomo Qualunque, hai presente il partito di quello che si chiama Giannini e porta la caramella all'occhio? Io ho sempre paura che una mattina, per strada, qualcuno mi chieda: sei tu Carmen Angelino? Allora beccati questa rivoltellata!» «Il tuo cognome è Angelino?» la interruppe Giuseppe, al quale le storie di morti ammazzati non facevano più né caldo né freddo. «Sì, non te l'avevo detto?» si stupì lei. «No, non lo sapevo. Carmen Angelino, Angelino Carmen: mi va, suona bene.» Il bambino si alzò, scimmiottò un inchino buffo e recitò, impettito: «Signorina Angelino Carmen, sono onorato di fare la sua conoscenza! » Lei rise: «Sei un vero fenomeno! Dove l'hai imparato?». «Al cinema: fa così un attore che piace tanto a mia mamma, Tyrone Power.» Anche Carmen si alzò e, replicando l'inchino, disse con calore: «La ringrazio, signor Giuseppe. Sono felice di averla incontrata. Da quando la conosco, ho molto meno paura. Perché ho scoperto che lei è il mio Lancillotto, e con la sua spada mi difenderà ». Poi si chinò sul bambino e gli stampò un baciozzo sulla fronte: «Adesso vattene davvero all'oratorio. E non dimenticare il tuo cane». Giuseppe era già sulla porta, quando si voltò e domandò a Carmen: «Se hai certe paure, perché non chiedi a tuo fratello di venire a stare qui con te?» Lei riuscì soltanto a biascicare: «Non è possibile. Mio fratello è morto anche lui, sotto un altro bombardamento».

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