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Provocazioni e oscenità nell'arte teatrale di Jan Fabre

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GabrieleSimonginI È un artista totale: scultore, autore di video, scenografo, drammaturgo e regista teatrale. Ed è considerato dai benpensanti un creatore scandaloso, provocatorio, blasfemo e osceno, divenuto celebre per le sue sculture e installazioni interamente ricoperte di coleotteri, concepiti come simboli di metamorfosi. In ogni caso il belga Jan Fabre (classe 1958) è senza dubbio uno dei più innovativi e sconvolgenti artisti contemporanei. Lo si vede bene, sia pure per frammenti, nella mostra dedicata alla sua attività teatrale, intitolata «Il tempo preso in prestito» e presentata da oggi fino al 14 febbraio nel Museo Carlo Bilotti all'Aranciera di Villa Borghese. È, questa, una sorta di anteprima della sua ultima creazione teatrale, «Orgy of tolerance», che andrà in scena il 4 e 5 novembre al Teatro Olimpico e che certamente susciterà scalpore per il suo baccanale di immagini forti, destinate, secondo Fabre, a scuotere l'uomo mercificato di oggi. «Il tempo preso in prestito» che dà titolo alla mostra è per l'artista belga quello sottratto alle scene, un'ultima metamorfosi dopo lo spettacolo che ne propaga ancora l'eco. E così sono esposte le foto che celebri autori come Mapplethorpe e Newton hanno dedicato alle sue creazioni teatrali oltre a un ricco repertorio di disegni e bozzetti per le scene dello stesso Fabre. Ne viene fuori un mondo inquietante, in continua metamorfosi, che evoca anche sensazioni apocalittiche, con una forza visionaria ereditata da un grande fiammingo del passato, Hieronymus Bosch. Nella loro disinvolta immediatezza le foto che ritraggono i corpi nudi dei performer che lavorano con Fabre costringono l'osservatore ad abbassare lo sguardo, nonostante la classicità delle pose. Ed è proprio il corpo umano, scandagliato in tutte le sue profondità più intime e anche viscerali, la vera ossessione della ricerca di Fabre, nel connubio fra orrore e bellezza, fra vita e morte. L'artista cerca la più assoluta libertà immaginativa per guarire l'uomo dai suoi mali. «Credo nell'immaginario – ci dice Fabre – e in ciò che non esiste ancora. Forse la bellezza e l'arte possono guarire le ferite nei nostri cuori, causate dalle guerre nelle nostre teste». Ma per l'artista belga la via verso la bellezza è sempre traumatica e sconvolgente.

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